La felicità degli altri
Un quartetto ben affiatato in cui ciascuno occupa un ruolo preciso
Il film nella valutazione pastorale della Commissione CEI
Scritto e diretto da Daniel Cohen (adattamento di un suo testo teatrale), il 24 giugno 2021 esce nelle sale italiane “La felicità degli altri”, una commedia acidula che racconta la storia di due coppie di amici di vecchia data: Léa (Bérénice Bejo) e Marc (Vincent Cassel), e Karine (Florence Foresti) e Francis (François Damiens). Ognuno di loro ha un ruolo ben preciso all’interno del gruppo (e una caratterizzazione un po’ troppo stereotipata): Léa, gentile al limite del masochismo e insicura; Marc, insensibile ed egocentrico; Karine, decisionista e ambiziosa, Francis, bonario e sempre pronto ad assecondare la moglie per la quale nutre un affetto profondo e un’ammirazione tanto incondizionata quanto eccessiva. L’armonia comincia ad incrinarsi quando, una, sera al ristorante, Léa confessa che sta scrivendo un romanzo. Certi in cuor loro che non riuscirà a pubblicarlo i tre si mostrano prodighi di incoraggiamenti. In realtà si sentono a disagio ed entrano “in competizione” con Léa. Marc, privo di altri interessi, puntando tutto sul lavoro, su una promozione, che, invece, non riuscirà ad ottenere; Karine e Francis cimentandosi in varie discipline alla ricerca affannosa, quanto superficiale, di talenti che non possiedono. La loro frustrazione cresce di pari passo con il successo di Léa il cui romanzo diventa in poco tempo un best seller. L’invidia si fa evidente e incontenibile, le battute sempre più velenose rivelano meschinità e grettezze. L’amicizia si rompe così come il rapporto tra Léa e Marc. “La felicità degli altri” è una commedia dal retrogusto amaro, che sposa la teoria secondo la quale è più facile stare vicino agli amici quando sono in difficoltà, piuttosto che quando raggiungono il successo. Non solo: si può essere felici senza in qualche modo “intaccare” la felicità altrui? E ancora: si può ricomporre un rapporto mandato in frantumi? Temi e domande attorno ai quali il film ruota, tenendosi, però, in superficie, senza approfondire nulla, né i personaggi, un po’ troppo stereotipati e ripetitivi, né l’evoluzione dei loro rapporti. Particolarmente significativa la scena al ristorante, che gira su ritmi e tempi comici squisitamente teatrali: “irrita” lo spettatore, ma strappa applausi “a scena aperta” all’esasperato e pazientissimo cameriere (Bruno Gouery). Dal punto di vista pastorale il film “La felicità degli altri” è da valutare come consigliabile, brillante e adatto per dibattiti.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e per occasioni di dibattito sull’amicizia, sulla scoperta dei propri e altrui talenti e limiti, sulla fiducia e sulla capacità di accogliere e perdonare.
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