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Non lasciamo i nostri figli soli con la tecnologia

L'intervista alla ministra della Famiglia

Parole chiave: pornografia (4), educazione (13)
Contro il porno online un aiuto all'educazione delle famiglie

Le violenze sulle ragazze per mano di loro coetanei si nutrono anche del consumo di porno online, dilagante, incontrollato. Per mettere un argine a questa frana c’è grande attesa per un possibile provvedimento specifico del governo, allo studio del Ministero della Famiglia, con la ministra Eugenia Roccella che ne spiega i princìpi ispiratori in vista del Consiglio dei Ministri di domani, mentre nel suo studio riceve don Maurizio Patriciello proprio per confrontarsi sulle questioni educative aperte dallo stupro di Caivano.

A cosa si ispirano le misure che state mettendo a punto?

Sappiamo bene che una normativa per quanto ben congegnata non è in grado di bloccare completamente l’accesso alla pornografia, perché la tecnologia digitale è molto sfuggente per la sua intrinseca capacità di rinnovarsi in continuazione creando sempre nuovi percorsi d’uso. Ma ora ad accedere sono anche i bambini, con la media del primo contatto con contenuti porno a 6-7 anni. Si tratta quindi di impedire l’estrema facilità con cui avvengono queste esperienze. È vero che ogni sistema che viene introdotto può essere aggirato, ma quel che è agevole per un adolescente è praticamente impossibile per un bambino. Ora serve dare un primo segnale forte, espressione di una altrettanto forte preoccupazione, sul fronte dell’offerta facile e pervasiva che arriva anche ai bambini.

Perché un intervento del governo?

Non abbiamo intenti censori, occorre che tutti ci facciamo carico del grave problema dei guasti psico-fisici nei bambini esposti molto precocemente a messaggi sessuali espliciti. Non sono più i giornaletti osé degli anni Ottanta: circolano immagini molto pesanti di pratiche estreme che stanno diventando elemento costitutivo dell’immaginario già dall’infanzia. Se sommiamo questo fenomeno alla creazione di una vera dipendenza, è chiaro che siamo al cospetto di un problema educativo, di salute pubblica, di benessere psicologico dei bambini. Siamo giustamente preoccupati di dare ai più piccoli quel che serve per la loro età: e il porno di certo non ne fa parte.

Bastano leggi e tecnologie?

No, e per questo il secondo punto del nostro intervento insiste sull’aspetto educativo. Intendiamo infatti fornire strumenti per sollecitare la responsabilità familiare. Non tutto si risolve attraverso la scuola, pur fondamentale: sono convinta che resti centrale il ruolo dei genitori, oggi in grande difficoltà perché hanno a che fare con la crescente tendenza dei figli ad auto-educarsi nel confronto col gruppo dei coetanei. Si è aperta una distanza senza precedenti con il mondo degli adulti. I genitori hanno bisogno di recuperare autorevolezza e ruolo, ma devono poter disporre di strumenti efficaci.

A quali pensa?

Al parental control, con app che consentono di controllare il tempo di connessione ai social, l’accensione e lo spegnimento dello smartphone, i siti accessibili o negati, i contenuti esclusi: tutto quello che si ritiene utile per il proprio figlio. Sono strumenti molto flessibili, già a disposizione, scaricabili e modulabili, facili da usare. Eppure i genitori non li utilizzano. Il nostro primo problema dunque è diffondere l’uso di questi sistemi informando che esistono e incoraggiando a usarli come validi alleati. In prospettiva, vorrei che la presenza e l’uso di queste app diventasse come i sistemi di allarme anti-abbandono che oggi vengono venduti obbligatoriamente incorporati nei seggiolini per bambini.

Devono agire solo i genitori?

Sono convinta che vada sollecitata anche la responsabilità sociale dei produttori di telefoni. Il parental control dovrebbe essere incluso in tutti i device. È un’operazione di “ecologia digitale” che riguarda i soggetti più delicati del mondo: i nostri figli.

Anche le piattaforme social si stanno accorgendo che vanno protetti i minori... (continua a leggere https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-vitain-gioco)

Fonte: Avvenire
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