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“Presto si fa sera nella vita”. Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti?

Alla parrocchia S. Ferdinando

Parole chiave: san ferdinando (8), cooperatori paolini (10)
L'incontro per riflettere sulla Pasqua
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La parrocchia di San Ferdinando insieme ai cooperatori Paolini, ha organizzato un momento di riflessione in preparazione della Santa Pasqua.
Frate Silvestro Bejan teologo di Roma, ha proposto un argomento che è il fondamento della fede cristiana: la resurrezione di Cristo e dei cristiani.
Questo tema teologico costituisce l’oggetto di riflessione del capitolo 15 della prima lettera di San Paolo ai Corinzi perché la questione suscitava problemi nella comunità cristiana di Corinto; non era cioè una dottrina pacificamente accettata ma aveva creato forti discussioni in quanto il problema derivava dalla mentalità greca di tipo platonico che rifiutava di considerare il corpo come degno di valore, contrapponendo un discorso sull’immortalità dell’anima. Siamo di fronte a due linguaggi e due mentalità dove la tradizione biblica insiste sulla risurrezione mentre la tradizione filosofica greca parla di immortalità dell’anima ben distinta dal corpo come se fosse un’altra cosa ossia, il corpo materiale va in perdizione, mentre l’anima immortale raggiunge il proprio destino eterno.

San Paolo presenta la dottrina della risurrezione come il fulcro della sua teologia dopo aver parlato del discorso escatologico del compimento della storia umana e dell’universo intero. I primi versetti di questo capitolo contengono un nucleo storico molto importante chiamato kerigma (annuncio), che contiene una formula di fede tra le più arcaiche nella storia della cristianità sottolineando l’importanza della trasmissione della tradizione. Egli dice: “vi rendo noto fratelli, il Vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l’ho annunziato. Altrimenti avreste creduto invano” . Egli invita i Corinzi a stare saldi in questa fede che è la salvezza. Se il Vangelo viene cambiato e viene sostituito tutto crolla. Dice anche: “ vi ho trasmesso dunque, innanzitutto quello che anch’io ho ricevuto”: i due verbi della tradizione sono ricevere e trasmettere. Paolo ha ricevuto dalla comunità cristiana che lo precede questo insegnamento e ora lo trasmette alla comunità cristiana di Corinto. Egli è un anello della tradizione non il fondatore; è un garante della fedele trasmissione di questa fede apostolica. Questo è il vangelo che trasmette : che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le scritture e apparve a Cefa e quindi ai Dodici. Siamo di fronte ad una formulazione primitiva della fede cristiana strutturata molto bene con quattro verbi riuniti due a due. Il primo “morì “ è qualificato con altre due espressioni “ per i nostri peccati”, “ secondo le scritture”, “ e fu sepolto”. La seconda parte presenta un altro verbo determinante: “ è risuscitato” con due altre qualificazioni “ il terzo giorno” e “ secondo le scritture” e un verbo di appoggio “ e apparve”.

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Cristo è morto non a causa dei nostri peccati ma a favore; Paolo sottintende l’idea di espiazione di purificazione, di salvezza: è morto per eliminare i nostri peccati. Secondo le Scritture non significa un riferimento particolare ad un qualche elemento biblico ma al progetto globale di Dio testimoniato nelle Scritture; secondo il progetto di Dio Gesù è morto e secondo le Scritture, cioè secondo il progetto di Dio, Gesù è risuscitato. Il terzo giorno fa parte dell’antica testimonianza storica secondo cui i giorni si contavano a partire da venerdì; il terzo giorno è la domenica. Nell’Antico Testamento, il terzo giorno è quello in cui avviene qualcosa di grande, in cui Dio interviene, infatti abbiamo l’incontro con il Risorto il terzo giorno dopo la morte. Come la sepoltura è la prova della morte, così il fatto che sia apparso è la prova della resurrezione. Infatti apparve a Cefa e quindi ai 12 e in seguito a più di 500 fratelli in una sola volta. Paolo fa riferimento a questo numero per richiamare la molteplicità dei testimoni e infine parla dell’apparizione a lui stesso non certamente nei 40 giorni dalla Pasqua all’ascensione, ma nell’esperienza di Damasco. Definisce se stesso come un aborto che in greco ha però un altro termine (ektroma)che significa parto difficile, quando il bambino viene salvato dalla mano di un medico. Paolo viene salvato da Cristo stesso che lo ha tirato fuori con forza e lo ha portato alla luce.

Egli è apostolo per grazia e non per meriti e questo dono non lo vuole sprecare e lo deve trasmettere come lo ha ricevuto. Quindi se Cristo è risuscitato dai morti anche per noi ci sarà la risurrezione. E se diciamo che non esiste la resurrezione dei morti neanche Cristo è risuscitato. Cristo è primizia di coloro che sono morti, è il primo dei morti che risuscita ed è importante la contrapposizione con la dottrina dell’immortalità proprio perché la risurrezione non è un fatto di natura ma è un evento di grazia, un dono libero e gratuito di Dio. Il primo che ottiene la risurrezione è Gesù Cristo, il suo ruolo determinante perché nessuno prima di lui è risorto e nessuno senza di lui può risorgere. Il vangelo, la buona notizia sta nel fatto che il Cristo è l’unico che morendo è arrivato a Dio; io non posso arrivare a Dio attraverso la morte se non unito a Gesù Cristo. A questo punto nasce l’obiezione su come risuscitano i morti e con quale corpo. Paolo presenta due principi di base come condizioni per la risurrezione, innanzitutto la morte: ciò che semini non prende vita se prima non muore, quindi la morte è la condizione prima, ma ciò che viene seminato, non è quel che nasce. Dal mondo vegetale si dice che il seme contiene in sé la pianta futura eppure la forma è molto diversa dalla pianta. Se io non conosco il seme per sapere di quale pianta è, devo piantarlo e aspettare. E quel seme deve cambiare forma e io nell’attesa vedrò venir fuori una pianta profondamente diversa dal seme che ho piantato, eppure è la stessa cosa. Questo esempio ci aiuta a capire come il corpo risorto sia profondamente legato al nostro io concreto, incarnato di oggi, quindi non un’altra cosa, anche se molto diverso da quello che è oggi.

La risurrezione, come trasformazione del corpo non sarà una scissione rispetto a questo corpo, ma sarà in continuità; sarà il prodotto di questo corpo; portiamo in noi già iscritti i caratteri di ciò che saremo anche se non è dimostrabile o spiegabile. Vediamo chiaramente come la contrapposizione anima e corpo non sia dunque parte della dottrina cristiana ma Paolo dice: “ è necessario che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità…. La morte è stata ingoiata per la vittoria.. Dov’è o morte la tua vittoria? Dov’è o morte il tuo pungiglione?” il Cristo risorto ha vinto la morte ed essa sarà l’ultimo nemico ad essere annientato. La fede nella risurrezione è l’unica strada per superare la morte. Se dunque con la filosofia platonica la morte è un’amica perché ci libera dal corpo; per Gesù essa è nemica e conseguenza del peccato e San Francesco ci fa capire che possiamo però chiamarla sorella morte perché è stata vinta da Cristo stesso. 

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