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Nella Chiesa Valdese il secondo incontro di preghiera della Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani

La liturgia ecumenica
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Le confessioni cristiane si sono riunite nella Chiesa valdese per celebrare la Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani. Per tutta la settimana «Ama il Signore Dio tuo… e ama il prossimo tuo come te stesso, questo versetto del vangelo di Luca (10,27)  fa da filo conduttore agli incontri della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2024, dal 18 al 25 gennaio.

Dopo il saluto iniziale del Pastore Valdese Daniele Bouchard  che ha espresso la gioia per questa consolidata tradizione di ritrovarsi la domenica a celebrare la liturgia tutti insieme, è stato dato luogo  alla lettura dei brani Scritturistici da parte dei membri delle varie confessioni cristiane,

La riflessione è stata condotta commentando un brano dal Vangelo di Luca 10,25-37 comunemente conosciuto come la Parabola del Buon Samaritano dove Gesù sollecitato dalla domanda di  un dottore della Legge il quale aveva chiesto cosa doveva fare per ereditare la vita

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eterna, risponde citando due passi biblici, entrambi legati all’“amare”: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze» (Deuteronomio 6,5) e «Amerai il prossimo come te stesso» (Levitico 19,18). Il dialogo ha, però, una svolta nell’ulteriore replica dello scriba: «Chi è mai il mio prossimo?». È questo, un quesito “oggettivo” che l’ebraismo risolveva sulla base di una serie di cerchi concentrici di rapporti interpersonali ben circoscritti. Gesù risponde ricorrendo, invece, a una parabola che alla fine pone un interrogativo rilanciato allo scriba: «Chi ha agito come prossimo?». Il ribaltamento è evidente: invece di interessarsi “oggettivamente” alla definizione del prossimo, Gesù invita a comportarsi “soggettivamente” da prossimo nei confronti di chi è nella necessità e che subito vede chi gli è veramente prossimo

Il racconto della parabola è ambientato nella strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico che era molto pericolosa e conosciuta con il soprannome “la via del sangue”, per le numerose persone che erano state ferite o uccise dai ladri su quella via. Un viandante sta percorrendo

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la strada che discende lungo i monti del deserto di Giuda e all’improvviso, vi è l’assalto di briganti che «lo spogliarono, lo coprirono di percosse e se ne fuggirono lasciandolo mezzo morto». La scena è drammatica: un corpo insanguinato, il silenzio del deserto, l’attesa di un passaggio. Ecco, finalmente, da lontano un sacerdote. Ma subito la delusione: «Passò oltre dall’altra parte» della strada. Poi un secondo personaggio, un levita. Di nuovo la delusione: anch’egli «passò oltre dall’altra parte». C’è, però, un terzo viandante che avanza più tardi: è un “eretico” samaritano, appartenente a una comunità che nella Bibbia è chiamata «lo stolto popolo che abita in Sichem», anzi dice, « non è neppure un popolo» (Siracide 50,25-26). Eppure è solo lui che si accosta e si piega sull’ebreo ferito, suo nemico religioso e politico, per aiutarlo. Gesù non si perde nei particolari per i primi due, cercando di dare spiegazioni per il loro atto di omissione, motivato forse da ragioni rituali (il sangue e la morte rendevano impuri chi vi entrasse in contatto e ciò era rilevante per un sacerdote e un levita ai fini delle loro funzioni e del loro statuto).

Gesù spazza via il legalismo che ignora la sofferenza dell’altro e che, alla fine uccide, e si ferma sulla figura-modello del samaritano. 

Costui è autenticamente prossimo del sofferente senza interrogarsi su chi sia questo prossimo da aiutare. «Si fa vicino», le sue viscere si commuovono, come si dice con l’uso del verbo greco della misericordia splanchnízomai, il suo amore è operoso: fascia le ferite, vi versa vino e olio secondo i metodi del pronto soccorso antico, carica la vittima sulla sua cavalcatura, la depone solo quando giunge a uno dei caravanserragli che fungevano anche da albergo. Per due volte viene ripetuto il verbo “prendersi cura” (10,34-35), contribuisce anche alle spese successive con due denari. Il suo è un amore personale, sottolineato nell’originale evangelico greco dalla ripetizione del pronome greco autós: «Passò vicino a lui, gli fasciò le ferite, lo caricò sul suo giumento, lo condusse alla locanda e si  prese cura di lui… Prenditi cura di lui!». Il sacerdote e il levita incarnano la rigida sacralità che separa dal prossimo; il samaritano rappresenta la misericordia e la vera religiosità che si unisce al dolore per redimerlo. La lezione per noi qui è molto potente. Il più grande comandamento è di amare Dio con tutto il nostro cuore, e di amare il nostro prossimo come noi stessi. Alla domanda di chi è il nostro prossimo, Gesù ci mostra che il nostro prossimo è chiunque troviamo nel cammino della nostra vita che sta nel bisogno. Amare il nostro prossimo non è qualcosa che bisogna fare solo quando abbiamo un po' di tempo avanzato o che facciamo solo se non ci costa troppo impegno, o se non è rischioso. Non è qualcosa che facciamo solo se abbiamo un po' di soldi in eccedenza. Amare il nostro prossimo vuol dire impegnarci per aiutare chiunque ha bisogno e che noi incontriamo nella nostra vita.

leggi il sermone della liturgia 

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