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Nel 10° anniversario della morte

Le parole di Emanuele Rossi, presidente dell'Associazione Ablondi

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Ricordando il vescovo Alberto

Sono passati 10 anni dalla morte del vescovo Alberto; la Diocesi ha voluto fare memoria di questa figura di uomo, sacerdote e pastore della Chiesa livornese ricordandolo all'inizio della celebrazione dell'8 Settembre. La memoria è stata affidata alle parole di Emanuele Rossi, presidente dell'Associazione Ablondi, che lo ha ricordato con questo scritto (le foto sono di Roberto Manera).

Sento di esprimere il mio e nostro sentito ringraziamento al Vescovo Simone e a tutta la Chiesa che è in Livorno per aver voluto dedicare questo momento di memoria al Vescovo Alberto, nel decennale della sua scomparsa, in un’occasione così importante e solenne che apre il nuovo anno pastorale.

Ritengo infatti che l’opera e la testimonianza di Alberto Ablondi costituisca un patrimonio per la Chiesa tutta, ma anche per la comunità cittadina livornese (non escludendo gli altri territori ricompresi nell’ambito della Diocesi, e in primo luogo il Comune di Rosignano marittimo). E proprio per questo abbiamo particolarmente apprezzato la decisione della Giunta comunale di Livorno, presieduta dal Sindaco Luca Salvetti e su iniziativa dell’assessore Simone Lenzi, di dedicare un luogo particolarmente significativo della città ad Ablondi e al rabbino Toaff: due persone legate da profonda amicizia e che hanno costruito un legame tale da favorire il dialogo tra cristiani ed ebrei anche in prospettiva nazionale. Farli incontrare – seppur idealmente – su un ponte che porti i loro due nomi potrebbe essere, anche per la nostra città, uno stimolo a rimanere fedele alla propria storia ed insieme a saperla rilanciare in una prospettiva per il futuro. Proprio per questo, auspichiamo che tale proposta, nello spirito sempre accogliente e mai escludente di Ablondi, possa trovare accoglienza e consenso in tutta la città, e in tutte le forze politiche che la rappresentano: ricordo che nel 2014, durante la campagna elettorale per le elezioni comunali, la nostra associazione formulò questa richiesta a tutti e gli undici candidati a sindaco, ricevendo consenso ed accoglienza. Ad Ablondi non è mai piaciuto essere motivo o causa di divisione: e non vorremmo che ciò avvenisse di fronte a una prospettiva come quella ora aperta dalla Giunta comunale.

Tornando all’occasione di oggi, ringrazio particolarmente il Vescovo Simone per avere invitato l’Associazione a lui dedicata, e da me immeritatamente presieduta, a proporre questa breve memoria, a dimostrazione della stima che l’Associazione ha saputo guadagnarsi in questi nove anni di attività.

Ricordo brevemente, soprattutto a favore dei più giovani, alcune tratti biografici.

Monsignor Alberto Ablondi ha svolto il ministero come Parroco di Santa Maria degli Angeli in Sanremo, insegnando anche Religione al Liceo; è stato Assistente della FUCI e dei Laureati Cattolici.

Eletto alla Chiesa Titolare di Mulli il 9 agosto 1966 e consacrato Vescovo il 1° ottobre 1966, ha svolto il suo ministero come Vescovo Ausiliare di Livorno (Vescovo titolare era mons. Emilio Guano) ed Amministratore Apostolico di Massa marittima. È stato Vescovo di Livorno dal 26 settembre 1970 al 9 dicembre 2000, negli ultimi anni affiancato dal Vescovo Vincenzo Savio, da lui fortemente voluto al proprio fianco. E’ stato altresì Vicepresidente della CEI, Presidente mondiale della Federazione Universale Cattolica per l'Apostolato Biblico, Vicepresidente mondiale per l'Europa delle Società Bibliche, membro del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, nonché cittadino Onorario di Livorno. Ha presieduto la Commissione CEI per l'ecumenismo e quella per la dottrina della fede. Ha fondato e presieduto il Centro Documentazione del Movimento Ecumenico Italiano (Ce.Do.Mei) di Livorno. E’ scomparso a Livorno il 21 agosto 2010.

 

Perché fare oggi memoria del vescovo Alberto?

Se la memoria è il “luogo dell’indispensabile discernimento, l’esercizio in cui il passato diventa nutrimento per il futuro”, è sempre necessaria, e oggi non meno di altri momenti, una memoria costruttiva, capace di parlare al presente, di scuoterlo e di provocarlo, come Ablondi sapeva fare per allargare gli spazi all’azione dello Spirito, sempre avendo a cuore l’edificazione della Chiesa locale e della società civile.

Una memoria finalizzata non soltanto a ricordare i molti episodi di vita che ciascuno di noi porta nel cuore e che ci hanno aiutato a diventare quello che oggi siamo: quanto invece, e soprattutto, per dare nutrimento e speranza all’oggi e al domani della nostra Chiesa e della nostra città. Avvertiamo infatti come molte delle sue intuizioni siano risultate profetiche, come il magistero di Papa Francesco ci sta dimostrando, e per questo avvertiamo l’esigenza che i moltissimi semi che il Signore ha piantato attraverso il servizio episcopale del Vescovo Alberto vengano coltivati e curati perché portino frutto e spandano ancora il sapore e il profumo del Vangelo. E perché la sua sia una “eredità viva”, come ha scritto l’Osservatore romano nel giorno del suo anniversario.

 

Dato il tempo limitato, posso limitarmi a evidenziare soltanto alcuni aspetti per una memoria che sia alimento per il futuro.

Il primo è il valore della parola: sia con la p minuscola che con quella maiuscola.

Per AA la «parola umana» è valore perché ha in sé una grande forza di comunione: in particolare in quanto “favorisce uno scambio di verità colte sotto angolature diverse. Questo avviene quando la Parola cresce a quella dimensione di dialogo nel quale gli interlocutori sono disposti ad arricchirsi vicendevolmente”.

La parola come imprescindibile strumento di dialogo, dunque: una dimensione che esprime una concezione della vita ecclesiale e sociale in cui la è la relazione umana - sincera, libera, fiduciosa - a incarnare la verità del Vangelo. Una Chiesa che, sia nel rapporto con le persone che con il mondo, deve riuscire a trovare un equilibrio quanto mai difficile da realizzare: “mai latitante, né invadente”, come intitolò una sua raccolta di esperienze pastorali.

Come non avvertire la forte vicinanza con le parole di Papa Francesco, quando sottolinea come “Mentre nel mondo, specialmente in alcuni Paesi, riappaiono diverse forme di guerre e scontri, noi cristiani insistiamo nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti, stringere relazioni e aiutarci «a portare i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2).

Una concezione che presuppone la volontà e la capacità di cercare: “chi cerca lealmente, Egli avvertiva, non è mai colpevole anche se si trova su una strada sbagliata: sbaglia invece il presuntuoso che si illude di essere arrivato”.

 

E’ quasi inevitabile che tale concezione si accompagnasse in Ablondi ad un impegno molto forte, e particolarmente appassionato, per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, che dalla storia della città di Livorno ha tratto alimento ed è stato, a sua volta, alimento prezioso. La necessità di costruire ponti, anche in tale direzione, è il primo passo necessario per dare credibilità alla testimonianza cristiana agli occhi di un mondo che sulle differenze costruisce muri identitari: nel tentativo, che si rivela vano nel lungo periodo, di coprire in questo modo le proprie debolezze e la propria fragilità. 

Ed insieme, è frutto di quella concezione il cammino realizzato attraverso i due Sinodi diocesani, per una Chiesa insieme “pellegrina e guida verso il Regno”; una Chiesa tenda, dove “non ci sono recinti, le serrature non servono: garantisce l’onestà della gente e il suo buon servizio”.  E ci piace pensare che anche su questo il magistero di Ablondi abbia anticipato le prospettive disegnate da Papa Francesco di una «Chiesa costitutivamente sinodale» (Costituzione apostolica Episcopalis communio del 15 settembre 2108).

 

Ancora non possiamo dimenticare le due grandi e costanti attenzioni pastorali del Vescovo Alberto, che egli ha indicato alla Chiesa e alla società livornese: gli “assenti” e i giovani.

Egli ammoniva come gli assenti, come anche i presenti, debbano costituire per ciascuno di noi “un tormento, un interrogativo continuo, l’esame di coscienza doveroso, l’offerta generosa e disponibile: essi sono soprattutto la provocazione ad una conversione”.

E i giovani vanno “non ammaestrati ma accolti, non riempiti ma ricevuti” perché non sono “un recipiente chiuso, ma un vaso comunicante da attivare”. Per questo, come titolò un suo libro, lo stile nei loro confronti è di “fare due passi insieme”: da amico e fratello, ancora prima che da maestro.

 

Questi sono frammenti della memoria del Vescovo Alberto che vorremmo condividere con voi: la memoria di una missione episcopale che, come scrisse Giovanni Bachelet sul giornale diocesano, è stata “universale, aperta a tutti, lontana da ogni proselitismo, e perciò pienamente cattolica; appassionante realizzazione del gusto evangelico di vivere, condividere, lottare per un mondo più giusto, comunicare gioia e speranza; entusiastica riposta alla vocazione che il Concilio riscopriva e assegnava alla comunità cristiana”.

 

Concludo con un auspicio, che è anche un augurio. Che la memoria del Vescovo Alberto ci aiuti – come Lui ci ha insegnato - a non darci mai per rassegnati, a resistere alla tentazione dell’“ormai” per essere infaticabili cercatori e costruttori, nella Chiesa e nella società di oggi, della bellezza dell’”andare oltre”.

Emanuele Rossi

 

Ricordando il vescovo Alberto
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