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"Non siate qui per me, ma per Gesù"

Pubblichiamo la versione integrale dell'omelia del funerale di don Francesco Fiordaliso

Le parole di don Piergiorgio Paolini

Lunedì 30 maggio 2022

Poco più, poco meno, quelle che seguono sono le cose che ho detto all’omelia. Vi sono solo alcune integrazioni che completano il discorso. Chi legge tenga presente la differenza che corre tra parole pronunciate in un contesto carico di emotività e parole scritte che si possono leggere da soli nel silenzio: le prime sono amplificate dalla situazione in cui sono dette, le seconde si presentano nella loro nudità e semplicità; ciò nonostante esse hanno la capacità di far vibrare di nuovo i sentimenti perché l’evento a cui si riferiscono è lo stesso. (PGP)

1. Memoria
Inizio con una breve memoria personale del mio rapporto con Francesco. Lo accolsi in seminario nel 1985: aveva appena compiuto 19 anni. L’ho accompagnato nei sette anni prima all’ordinazione diaconale l’11 maggio 1991, vigilia dell’Ascensione, poi a quella presbiterale il 25 marzo 1992. Il nostro rapporto è continuato anche dopo in molti modi: tra questi i diversi viaggi in Terra Santa a partire da quello del 1986 con i seminaristi di allora. Nelle parrocchie, di cui è stato parroco, Francesco si è fatto promotore di pellegrinaggi, con s. Pio X nel 2000, con Castiglioncello nel 2005, invitandomi ogni volta ad essere la guida: poi si è reso indipendente e ha continuato ad andare in Terra Santa. Francesco amava molto Gerusalemme.
Ora mi trovo a presentarlo al suo funerale, cosa che non avrei mai immaginato, io più vecchio di lui di 24 anni. Debbo fermarmi dinanzi all’incomprensibile con umiltà aiutato dalle parole di Paolo nella lettera ai Romani; dopo aver portato avanti la riflessione sul «mistero» di Israele, sente di essere dinanzi a qualcosa di più grande che non è ulteriormente raggiungibile con la ragione ed allora grida:
O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! 34Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? 35O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio? 36Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen (Rom 11,33-36).
Ciò non significa abdicare alla comprensione ma semplicemente riconoscere che solo in Dio vi è la ragione ultima di ogni cosa: quanto più il cuore e la mente si aprono a lui, tanto più cresce l’illuminazione interiore che fa percepire la verità delle cose.
2. Il tempo liturgico
Francesco è morto il sabato 28 maggio, vigilia dell’Ascensione. Questa solennità, con il suo significato, illumina e permette di comprendere il dono di Dio in lui. Ciò non significa esaltarlo – Francesco aveva i suoi limiti e i suoi difetti – ma di cogliere ciò che il Signore, passando proprio attraverso le sue fragilità e debolezza, ha operato in lui.
L’Ascensione è dominata dal movimento: Gesù risorto è «elevato in alto» (At 1,9) e discende lo Spirito Santo che genera il movimento orizzontale; nasce la testimonianza da cui ha origine la Chiesa come comunione dei santi: «riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Sono perciò tre gli elementi che compongono questo movimento: Gesù, che la sua «ascensione» manifesta come Figlio di Dio nella sua piena divinità, la parola dell’annuncio che lo testimonia, la comunione che ne nasce. È lo Spirito Santo a compiere tutto: apre alla piena comprensione di Gesù, dà energia alla parola e genera la comunione che è fondamento della Chiesa.
Il movimento entra e forgia la vita cristiana come vita pervasa dallo Spirito. Egli la spinge verso l’alto, verso «Cristo, seduto alla destra di Dio» (Col 3,1), generando il desiderio, l’anelito, l’amore per il Signore Gesù che si manifesta nella preghiera del cuore; egli spinge a dare testimonianza di lui non solo con la parola ma anche con il dono di sé nel servizio agli altri, nella dedizione, come Gesù ha fatto: «Vi
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ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15); egli trae dalla solitudine e spinge alla relazione reciproca nella comunione, nell’incontro: si manifesta così il corpo di Cristo che è la Chiesa.
Anche la vita di Francesco è stata pervasa da questo movimento e dalla tensione che ne deriva.
Francesco aveva un profondo anelito mistico, un desiderio del Signore Gesù anche se, guardando ai suoi atteggiamenti esterni, si sarebbe detto il contrario. Due elementi, tra i molti, provano la mia affermazione.
Il primo è più esterno ma non per questo meno significativo. Il cammino di Francesco inizia con una settimana di ritiro nel monastero di Valserena nel luglio del 1985. Avevo suggerito questo tempo di preghiera perché potesse valutare nel silenzio e nella preghiera la fondatezza della scelta verso la quale si stava orientando. Un ritiro di una settimana, da solo, un giovane di 19 anni, non è facile: eppure Francesco visse l’esperienza intensamente mettendoci tutto se stesso. Il suo cammino termina ancora a Valserena agli inizi di aprile di questo anno quando, compiendosi trent’anni dalla sua ordinazione presbiterale, egli volle fermarsi a pregare e riflettere per una settimana. In un breve messaggio del 6 aprile mi diceva: «il ritiro a Valserena è stato molto interessante e tranquillo, una immersione nel silenzio e, grazie a Dio, non c’erano altri ospiti e il più delle volte ero da solo». Un’immersione nel silenzio: è nel silenzio che il Signore parla, quando tacciono i rumori esterni e soprattutto quelli interiori e il cuore viene lentamente orientato dallo Spirito Santo verso il Signore Gesù e, in lui, al Padre: si è ammessi così alle «profondità» di Dio.
La conclusione dell’omelia a Castiglioncello, allora sua parrocchia, per il XXV della sua ordinazione esprime con chiarezza il suo orientamento interiore:
E anche a voi oggi,
vi chiedo proprio questo: guarda là, guarda Gesù,
non siate qui per me, per festeggiarmi,
per parlare di me o per farmi gli auguri,
siate qui per lui,
siate qui perché io non mi stanchi mai di guardare a lui,
perché io non smetta mai di dirvi: “guarda là!”
perché questo ho cercato, cerco e cercherò di essere,
un prete di spalle che, semplicemente,
con passione e con amore,
con le parole e con la vita
continua a dirsi e a dirvi:
“guarda là! Guarda Gesù crocifisso risorto!” (25 marzo 2017).
Potrebbero sembrare parole retoriche di circostanza: non lo sono. Chi lo ha conosciuto sa bene che Francesco non era retorico ma, ora in un modo ora in un altro, esprimeva sempre se stesso. Nel momento in cui scriveva queste parole e nel momento in cui le pronunciava egli rivelava il suo anelito profondo: Gesù. Esse risultano tanto più vere se lette nel contesto di quei mesi che egli stava vivendo, con tensione profonda, nell’incertezza: ma le nebbie esistenziali, molte, non hanno mai coperto la sorgente che ha continuato a zampillare. Dei doni del Signore in noi è custode lo Spirito Santo che li alimenta nonostante i peccati, le ambiguità, le paure. Così è stato per Francesco.
Quelle parole, dette allora, egli le dice anche a noi in questo momento: non guardate a me, non piangete perché io sono morto, guardate a colui che è vivo, Gesù crocifisso e risorto, lui, sorgente di ogni bene, di tutto il bene; in lui e per lui tutti vivono e non vi è morte.
La forte tensione verticale era accompagnata da una tensione orizzontale altrettanto forte: la comunione nella Chiesa, l’annuncio della parola, il servizio ai poveri.
È testimone del suo amore per la Chiesa il testamento, quando spiega il motivo per cui chiede che il suo funerale si celebri in Cattedrale:
Il funerale vorrei che fosse celebrato in Cattedrale a Livorno, è il luogo dove sono stato ordinato prete, è il simbolo della Chiesa di Gesù che è in Livorno che ho amato e servito con tutto il cuore, anche quando mi ha fatto soffrire e che ho sentito madre e sorella quando invece l’ho fatta soffrire io, è il simbolo di quella Chiesa che mi ha fatto incontrare Gesù e il suo vangelo e per questo le sarò eternamente grato perché incontrare Gesù e il vangelo è la cosa più bella che mi potesse capitare in vita. Ho servito finora diverse comunità parrocchiali e, tutte, le ho amate con tutto me stesso, ma la MIA Chiesa è la Cattedrale con tutto quello che significa e rappresenta (Testamento del 2 febbraio 2002).
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La Cattedrale è «la MIA Chiesa» perché è simbolo di quella Chiesa che è stata mediatrice dell’incontro con Gesù e il suo vangelo: la Cattedrale non in quanto nudo edificio ma per il suo significato. Oggi essa è visibile non solo perché stiamo celebrando qui il funerale di Francesco, ma perché è presente il vescovo, che nella sua persona manifesta l’unità della Chiesa, sono presenti i presbiteri, i diaconi, tutta l’assemblea.
Il rapporto di Francesco con la Parola di Dio è testimoniato da quanto egli scrive nel testamento quando chiede che gli venga messa in mano la Bibbia di Gerusalemme «quella tutta sottolineata che mi accompagna dal 1984» oppure «il salterio (quello del Beltrame Quattrocchi)»; due segni inequivocabili di amore alla Parola di Dio testimoniata nella Bibbia, di amore alla preghiera rappresentata dai salmi. Francesco stesso conferma in una sua lettera il suo amore per la Parola di Dio:
Certo, se guardo con un po’ più di obiettività, ci sono realtà che sento essere importanti e so che, in queste, sono anche un dono per gli altri, un dono apprezzato, ricercato anche. Lo so che è molto apprezzato, e a me piace farlo, il dono di riuscire a spezzare la parola di Dio, di affrontarla e interiorizzarla, di sentirla prima di tutto vera per me prima di doverla offrire agli altri. Questo servizio della parola è stato ed è importante, mi ha impegnato tanto in questi anni e mi ha nutrito, mi ha fatto crescere, anche adesso è un servizio che sento mio, a cui sento di appartenere (4 febbraio 2018).
C’è poi il suo servizio nelle parrocchie dove ha operato, l’attenzione ai più poveri che trova la sua ultima espressione nel carcere. Descrivendo la sua Pasqua 2021 nel carcere, quando ancora imperava la pandemia, Francesco racconta:
Naturalmente, durante il triduo non è stato possibile fare niente per cui ho chiesto alla direzione se, almeno il giorno di Pasqua, visto che non potevano venire loro a messa, se potevo andare io a trovarli per fare gli auguri e lasciare un messaggio pasquale, per cui mi hanno accordato di girare tutto il carcere, cella per cella, a salutarli e fare loro gli auguri e scambiare due parole e, con chi lo ha chiesto, una preghiera. è stato molto bello, coinvolgente, anche emozionante vedere come fossero contenti di essere stati visitati, mi ha talmente preso questa esperienza che, alla fine, da solo, ho celebrato la messa di pasqua nella cappella del carcere ma vi assicuro che non ero solo perché c’erano tutti i detenuti e anche gli agenti con cui avevo scambiato gli auguri fino a qualche minuto prima (messaggio del 23 giugno 2021).
3. Le letture
Le letture della solennità dell’Annunciazione, scelte da Francesco per il suo funerale ed a cui era molto legato, gettano ulteriore luce su Francesco.
La prima lettura (Is 7,10-14) racconta il confronto tra il re Acaz e il profeta Isaia. Acaz, che antecedentemente il profeta ha invitato a non avere paura per la guerra incombente ma a confidare nel Signore, rifiuta il segno che Dio intende dargli per mostrare la sua vicinanza: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto» (Is 7,11). La risposta di Acaz è chiara: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore» (Is 7,12). Perché rifiuta? Perché ha un suo progetto, molto concreto, politico diremmo noi, per cui non ha bisogno del segno del Signore, non sa che farsene. Il secondo libro dei Re racconta in cosa consista il suo progetto politico (vedi 2Re 16,5-10).
Ben diversa la seconda lettura (Eb 10,4-10) al cui centro c’è l’assenso di Cristo, il Figlio, al Padre manifestato nelle parole del Sal 40: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7). È un assenso eterno e insieme storico: eterno perché il Figlio è totalmente aperto al Padre e alla sua volontà, storico perché si è manifestato nella vita di Gesù come obbedienza. Con l’assenso di Cristo al Padre la santità di Dio si riversa su di noi: «Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» (Eb 10,10).
Nel vangelo il centro è l’assenso di Maria alla parola dell’angelo, un assenso che appare alla fine, dopo un cammino di comprensione di ciò che quella parola chiede. Infatti alla rivelazione progressiva, che svela il progetto di Dio, Maria risponde prima con il silenzio carico di interrogativo, poi con la domanda su come tutto si possa realizzare, infine con l’assenso: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Un assenso perciò non passivo, ma frutto di un’adesione intelligente che interpella la Parola di Dio.
Nelle tre letture appare perciò la polarità assenso-dissenso: con l’assenso si entra nel progetto di Dio, se ne diviene parte per essere mediatori della sua salvezza; con il dissenso ci si chiude in una propria progettualità rifiutando quella di Dio.
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Questa dinamica domina la vita cristiana che è continuamente tesa tra assenso e dissenso, l’assenso per aderire al progetto di Dio sulla propria vita, il dissenso per inseguire una progettualità che si chiude in se stessa e nella propria autosufficienza. Spesso la nostra progettualità è meschina, fatta di piccole cose che gratificano ma non danno senso alla vita. Al contrario l’assenso a ciò che il Signore propone, anche se faticoso, è fonte di bene, di gioia, di pace.
La vita di Francesco è dominata da questa dinamica. Il suo assenso è convinto, l’«Eccomi» in risposta alla chiamata al ministero è deciso, forte, ma è insidiato sempre dal dissenso, il ritrarsi cioè in una propria realtà. Era nel suo carattere l’adesione massima come anche l’oscillazione al polo opposto. È stata questa la sua fatica: avere nel cuore il desiderio dell’assenso ma sperimentare spesso il dissenso. Per capire questo aspetto della sua vita sarebbe necessario entrare in particolari, ma ciò non è possibile. Mi limito solo a riportare le sue parole riprese da una lunga lettera scritta in un momento di crisi profonda. Pone la domanda «Chi sono io?»; tra le molte risposte vi è la seguente:
Un cristiano, un figlio, un servo. Sì, questo sì, però anche questa identità è fortemente in discussione anche se è l’unica che non posso e non voglio perdere.
Un cristiano: mi ha sempre coinvolto, affascinato, colpito il vangelo, la persona di Gesù, la sua passione, morte e risurrezione, è da questa convinzione e coinvolgimento che è nato e partito tutto, è per vivere il vangelo che ho scelto di entrare in seminario e poi di diventare prete, è per dare al mio essere cristiano un’identità forte. Il vangelo è stata ed è tutta la mia vita, anche facendo esperienza dei miei limiti, delle mie incapacità, anche nel peccato non ho mai perso di vista il vangelo, la persona di Gesù. Ora, però, mi sento in difficoltà perché ho sempre legato il vangelo alla mia vita da prete e, dal momento che questa è messa seriamente in discussione, è in discussione non tanto il vangelo e la sua portata, il suo valore, quanto come oggi poter vivere il vangelo visto che il modo con cui l’ho vissuto per oltre 30 anni è venuto meno nella sua forza ispiratrice e nella sua dimensione più profonda (4 febbraio 2018).
Ora che la vita di Francesco è conclusa, anche l’oscillazione è terminata ed è terminata – è questa la mia convinzione – nella fase dell’assenso. Il ritiro a Valserena del 1985 provocò il primo forte assenso che orientò il resto della sua vita, il secondo ritiro dell’aprile di quest’anno lo ha confermato.
In una lettera del 2017 Francesco ricorda il suo viaggio a Gerusalemme all’inizio di quell’anno e l’intensa preghiera al s. Sepolcro, preghiera che egli sintetizza in una sola parola: «parlami!». Nella stessa lettera, dinanzi al silenzio di Dio, egli dice: «Non so davvero che cosa fare, come riconoscere oggi la volontà di Dio su di me». Cinque anni dopo il Signore, cercato e desiderato anche se in modo oscillante, ha parlato: ora la vita di Francesco è nelle sue mani. Essa è al sicuro come Gesù stesso ha promesso: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano» (Gv 10,27-28).
4. Conclusione
Per concludere lascio ancora la parola a Francesco che in un messaggio del 24 novembre 2021 scriveva:
Dal punto di vista morale mi sento un po’ sulle montagne russe si sale, si scende, ci si ferma, si va avanti... insomma un po' sballottato... spero ora di cominciare questa chemio e di avere una direzione, ma non so ancora cosa mi aspetta.
Dal punto di vista relazionale, mi sento avvolto, travolto, abbracciato da centinaia di persone che mi fanno sentire il loro affetto e la loro vicinanza, sto sperimentando una famiglia/chiesa composta da gente molto diversa, con radici e appartenenze molto diverse tutte accomunate dal fatto di volermi bene e di tenere a me, questo mi stupisce tanto perché a me sembra, negli ultimi anni, di aver seminato solo delusione, stanchezza, mancanza di entusiasmo e invece mi sta tornando indietro tantissimo amore. Una chiesa senza gerarchie, senza protocolli, senza istituzioni che si trovano a pregare per la mia guarigione e lo fanno in gruppi diversi, dagli scout alla papa Giovanni agli amici di don Quilici, una chiesa che mi vuole bene.
La Chiesa qui riunita oggi: ecco la Chiesa che vuol bene a Francesco.

don Piergiorgio Paolini

Le parole di don Piergiorgio Paolini
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