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Le parole del vescovo Giusti

Nella giornata del creato l'attenzione all'ambiente e alle persone

Parole chiave: giornata del creato (5)
La transizione ecologica presuppone un nuovo patto sociale, anche in Italia

Nella celebrazione a Montenero prima in diretta Tv e poi con i ciclisti sul sagrato del Santuario, il vescovo di Livorno si è fermato a riflettere sul tema che caratterizza la giornata del creato di quest'anno: la transizione ecologica. Per camminare in una nuova vita occorre trovare una via di compromesso tra l'uso ecologico del pianeta e l'attenzione al lavoro e alle persone. La via esiste: è lo stesso Vangelo ad indicarcela. Un progetto unisce gli uomini di tutta la terra. Ecco l'omelia di mons. Giusti.

Ieri come oggi i miracoli sono segno della presenza del Messia in mezzo a noi. Il gesto di Gesù, narrato dal vangelo, compimento della profezia di Isaia, si attualizza in un rito compiuto nella Chiesa per l'Iniziazione dei Catecumeni. In effetti nel rito del Battesimo, il rito dell'Effatà è tra i suoi segni più significativi. A più riprese, nella Scrittura, si descrive l'iniziazione alla fede come se si trattasse di una guarigione dalla nostra sordità e dal nostro mutismo. Ciò non è a caso. La fede, realmente vissuta rende l'uomo attento alla Parola di Dio e gliela fa proclamare; al contrario la mancanza della fede rende l'uomo sordo e muto.

Il passaggio dalla incredulità alla fede comporta dunque una guarigione dalla nostra sordità e dal nostro mutismo (vangelo).

Anche Isaia, seguendo la logica di questo modo di pensare (che considera la guarigione da una malattia fisica come la liberazione da un difetto morale), immagina la futura restaurazione messianica come un intervento di Dio a sollievo degli sfiduciati, dei ciechi, dei sordi, degli zoppi e dei muti (1ª lettura). La Bibbia descrive sovente la situazione del Popolo, chiuso alla Parola di Dio, come se fosse diventato sordo e muto e asserisce che la disobbedienza alla parola rende inutili le orecchie e le labbra. Quando invece ritorna un'epoca di obbedienza a Dio, subito le lingue si sciolgono e proclamano la gloria di Dio, come se tutti profetassero.

Queste immagini rivelano una verità essenziale: la nostra fede si appoggia totalmente su un ascolto della Parola stessa di Dio e sulla sua attuazione pratica. Leggere o proclamare la parola di Dio significa riconoscere il primato di Dio stesso nella nostra vita. I cristiani, come gli Ebrei, sanno che la loro fede dipende dalla Parola di Dio; se adoperano parole soltanto umane per parlare di Dio, sono paragonabili ad un muto o ad un balbuziente. Ha scritto a questo proposito S. Anselmo d'Aosta: “Insegnami, Signore, a cercarti e mostrati quando ti cerco. 

Non posso cercarti se tu non mi insegni, né trovarti se non ti mostri.  Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti; che ti trovi amandoti e ti ami trovandoti.”

Si aggiungano poche gocce d’acqua al bicchiere, essa traboccherà. Così quando il nostro cuore è colmo della presenza di Gesù, non possiamo trattenerci di manifestarlo con la nostra vita e di annunciarlo con le nostre labbra. E noi siamo colmi della presenza di Cristo? Lo annunciamo?

 

Oggi è la 16ª Giornata Nazionale per il Creatosospinti dalla Parola di Dio, cosa dire oltre la retorica di queste celebrazioni, quale profezia proclamare?

Lavoriamo per una transizione giusta

La transizione ecologica di cui oggi molto si parla e si scrive, è «insieme sociale ed economica, culturale e istituzionale, individuale e collettiva» (IL, n. 27), ma anche ecumenica e interreligiosa.

È ispirata all’ecologia integrale e coinvolge i diversi livelli dell’esperienza sociale che sono tra loro interdipendenti: le organizzazioni mondiali e i singoli Stati, le aziende e i consumatori, i ricchi e i poveri, gli imprenditori e i lavoratori, le nuove e vecchie generazioni, le Chiese cristiane e le Confessioni religiose…

Ciascuno deve sentirsi coinvolto in un progetto comune, perché avvertiamo come fallimentare, l’idea che la società possa migliorare attraverso l’esclusiva ricerca dell’interesse individuale o di gruppo.

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Per realizzare tale transizione sono molti i piani su cui agire simultaneamente.

Occorre, da un lato, approfondire l’educazione alla responsabilità, per un nuovo umanesimo che abbracci anche la cura della casa comune, coinvolgendo i molti soggetti impegnati nella sfida educativa. C’è innanzitutto da superare forme di antropocentrismo esclusivo e autoreferenziale, per riscoprire quel senso di interconnessione che trova espressione nell’ecologia integrale, in cui sono unite l’ecologia umana con l’ecologia ambientale.

Don Primo Mazzolari, maestro di spiritualità e di impegno sociale della Chiesa del Novecento, scriveva così nel 1945: «Forse tante nostre infelicità derivano da questo mancato accordo con la natura, come se noi non fossimo partecipi di essa. Tutto si tiene, ed accettare di vivere in comunione non è una diminuzione, ma una pienezza».[1]

Occorre, al contempo, promuovere una società resiliente e sostenibile dove creazione di valore economico e creazione di lavoro siano perseguite attraverso politiche e strategie attente all’esposizione a rischi ambientali e sanitari. Questi passaggi complessi esigono di essere realizzati con attenzione per evitare di penalizzare – specie sul piano lavorativo – i soggetti che rischiano di subire più direttamente il cambiamento (qui ovviamente il mio pensiero va ad esempio ai lavoratori della Raffineria di Stagno, che sono in mezzo al guado): la «transizione ecologica» deve essere, allo stesso tempo, una «transizione giusta».

Ricercare assieme

Il cambiamento si attiverà solo se sappiamo costruirlo nella speranza, se sappiamo ricercarlo assieme: Insieme è la parola chiave per costruire il futuro: è il noi che supera l’io per comprenderlo senza abbatterlo, è il patto tra le generazioni che viene ricostruito, è il bene comune che torna a essere realtà e non proclama, azione e non solo pensiero. Il bene comune diventa bene comune globale perché abbraccia anche la cura della casa comune. Che  dire dunque, in una visione di ecologia integrale alla quale costantemente ci richiama Papa Francesco dell’eutanasia? Questione ecologica di non poco rilievo: posso aiutare l’altro, parte della natura certamente, a morire? Non a curarsi ma ad uccidersi? Essa è tornata alla ribalta con la raccolta di firme per un referendum abrogativo del divieto di assistenza al suicidio.

 

Eutanasia

750.000 firme per certificare per legge, una sconfitta!

Al di là di come andrà il referendum, se verrà fatto o se in parlamento sarà trovato l’accordo per una nuova legge che regoli la materia così come richiesto dalla Suprema Corte, quello che emerge è la rassegnazione a una sconfitta, sì a una sconfitta per tutti. Infatti quando un figlio, un marito, una moglie ti chiedono insistentemente, anzi ti supplicano, di farle morire, per coloro che li amano è uno strazio senza fine; certo c’è una magra consolazione: morirà ma come sarà per lui il dopo?  Oggi ascoltiamo affermazioni di una pseudo teologia laica a buon mercato, piena di buonismo ma senza alcun fondamento: con la morte smette di soffrire, stara bene, è nella pace. Chi di coloro che fanno tali affermazioni è mai stato oltre la porta della morte? Gli studi clinici sulle esperienze di coma profondo, dicono ben altro. Sono quindi frasi consolatorie prive di ogni fondamento, affermazioni da New Age. Altra è la visione del cristianesimo.

Oppure udiamo: tutto è finito, dal nulla veniamo nel nulla finiremo. Ma il nulla esiste? Non sappiamo neppure definirlo, non c’è per esso alcuna evidenza scientifica, semmai al contrario è evidente l’essere e il suo permanere comunque: “nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma”. Ed allora cosa dire ancora in merito alla richiesta di depenalizzare l’assistenza al suicidio? Ribadiamo: è una sconfitta per tutti quando una persona avverte che la sua vita non ha più alcun significato. Anche il dolore può essere vissuto positivamente quando ha un significato, ha un senso, è conseguenza di una lotta in corso, è per qualcosa, semmai nell’attesa eventuale di un nuovo farmaco. Quando invece la vita perde ogni attrattiva ecco il dramma e la rassegnazione alla morte ritenendola l’unica soluzione. È una sconfitta per la medicina ma non solo. Lo è per tutti. Se si considera la morte, la liberatrice, è segno che nella nostra società, la speranza è persa. “Carpe diem” trionfa, con buona pace di tutti gli oppressi e del creato continuamente violentato. Ma nonostante tutto e tutti, “la piccola speranza avanza”[2] e vede nella notte il sorgere della stella del mattino, non per nulla tutte le chiese sono sempre rivolte verso Oriente, la Speranza ci guidi e ci sorregga.

 

 

 

[1] Don Primo Mazzolari in “Diario di una primavera”.

[2] Charles Peguy, Il portico della seconda virtù.

La transizione ecologica presuppone un nuovo patto sociale, anche in Italia
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