Questione carceri e lavoro

Il lavoro come riabilitazione e reinserimento

Non solo Mario Draghi e Giorgia Meloni al Meeting in corso in questi a Rimini ma anche tanti altri, più o meno rilevanti a livello mediatico, incontri e dibattiti in cui si affrontano i grandi temi dell’attualità italiana ma non solo.

Nei giorni scorsi, ad esempio, partendo da un corposo lavoro di studio, ma anche di proposte, prodotto dal Cnel di Brunetta nelle scorse settimane, sulla questione “recidiva 0” e sul ruolo rieducativo, come ci ricorda anche la nostra Costituzione del 1948, della pena.

Il documento contiene anche un articolato disegno di legge che si propone di ridisegnare il sistema, e le politiche, destinati ai carcerati “in cerca di un lavoro” dietro, o davanti, alle sbarre.

Un progetto che parte da due principi. Valorizzare le migliori esperienze già “testate” sui territori, potremmo dire le “best practices”, e, allo stesso tempo, dedicare una particolare attenzione a quelle realtà che, per i più diversi motivi, sono, ad oggi i meno attrezzati. 

In termini poi più strettamente “normativi” è emersa la necessità di mettere sullo stesso piano, per quanto possibile, i lavoratori liberi e i cd “lavoratori ristretti”, così come, con specifico riferimento a questa seconda fattispecie, una equiparazione tra lavoro esterno e lavoro cd. “interno” (alle dipendenze dirette delle amministrazioni penitenziarie) alle strutture. Impianti che, è bene ricordare, nella realtà sono ben diversi da quelli raccontati, ad esempio, da produzioni cinematografiche ambientate sul lungomare di Napoli.

Utilizzare al meglio, ed implementare, quindi, quando possibile, gli strumenti di “partecipazione” dei territori e delle parti sociali al funzionamento degli istituti penitenziari e/o disegnarne di nuovi. Si pensi, ad esempio, al rapporto con le istituzioni formative e le scuole con le quali lavorare per accrescere il capitale umano di chi sta dall’altra parte delle sbarre.

Dare così più opportunità ai detenuti più giovani (tra i 18 ed i 25 anni) una volta usciti, si spera per sempre, dalle logiche del sistema penitenziario in una prospettiva, però, di responsabilizzazione dei ragazzi. 

Un paese migliore, più coeso, e, sotto molti aspetti, più ricco e più giusto, si costruisce anche non disperdendo le tante competenze rinchiuse, insieme e troppo spesso per sempre, alle persone, dentro le carceri.

Credere nel valore rieducativo della pena non deve essere, insomma, solo un nobilissimo “slogan” ma deve diventare un azione concreta che parta, prima di tutti, dai più giovani per cui un errore, e/o un reato, non deve diventare una condanna a vita senza fine.