Lavoro e inverno demografico

I dati forniti dall'ultimo studio dell'INAPP

Due eventi caratterizzano, dalla notte dei tempi, la vita di ogni uomo: questi sono la nascita e, alla fine di un percorso, la morte. In questo contesto, nei secoli, è stato elaborato, in epoche e contesti diversi, un vero e proprio mito dell’immortalità. Ad oggi è evidente, a livello empirico, che si continui a morire. Certamente grazie anche a progressi scientifici e a stili di vita più adeguati e sani, sempre più persone vivono a lungo ed in buona salute. Non è più così scandaloso, per esempio, leggere sui giornali  locali di festeggiamenti di arzilli centenari.

Dall’altra parte negli ultimi anni, forse negli ultimi decenni, sono diminuite fortemente le nuove nascite. Un fenomeno, questo, che colpisce complessivamente la gran parte dei paesi maggiormente sviluppati ma l’Italia in particolar modo. In molti piccoli paesi, ad esempio, solo i nuovi italiani, gli immigrati di seconda generazione, garantiscono la possibilità di mantenere alcune classi scolastiche. Il fenomeno migratorio, quindi, parzialmente attutisce questo questo vero e proprio inverno demografico.

Due fenomeni, questi, che impattano sul sistema del mercato del lavoro e, in prospettiva, ed in parte già oggi, anche sulla sostenibilità e sulla qualità del welfare state. 

Probabilmente i giovani di oggi, in una sua accezione particolarmente estesa, avranno delle prestazioni sociali sicuramente peggiori delle precedenti generazioni.

Un recente studio dell’inapp, pubblicato solo pochi giorni fa, ci racconta come nel prossimo decennio, solo in Italia, vi saranno ben 6 milioni in meno di lavoratori. Entro il 2060 la potenziale forza lavoro, tra 20 e 65, anni diminuirà addirittura di circa un terzo con tutte le prevedibili conseguenze sulla sostenibilità economica e sociale del welfare e, più in generale, del funzionamento dello Stato.

Per contrastare questo fenomeno si dovrebbe, quindi, operare su almeno tre fattori. Aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro che è ancora troppo bassa, e non uniforme su tutto il territorio nazionale, potenziando, ad esempio, tutti quei servizi necessari per facilitare la conciliazione tra dimensione lavorativa e quella  familiare.

Creare percorsi per cui si allunghi la vita professionale, spostando così il momento della pensione. Viene da chiedersi se questo sia possibile in tutti i settori e con tutte le professionalità. Si pensi ai settori caratterizzati da lavoratori low skilled ed in cui la prestazione fisica è fondamentale.

L’ultima dimensione da indagare è quella sulla capacità di riportare nel mercato del lavoro tutte quelle persone che oggi ne sono fuori e che non stanno cercando un lavoro, né sono coinvolte in percorsi di reinserimento nel mercato del lavoro, in particolare i più giovani. Il rischio, infatti, è che il  perdurare, in giovane età, fuori dal mercato del lavoro, almeno quello regolare, troppo a lungo possa portare progressivamente ad uno stato di esclusione sociale e di povertà.

Il governo, l’Europa, le parti sociali e tutti i soggetti interessati sono chiamati, quindi, già oggi, a lavorare per individuare soluzioni e strumenti sostenibili per cui le nostre vite, sempre più lunghe, siano anche dignitose sotto vari aspetti tra cui quelli, fondamentali per uno stato moderno, che sono l’assistenza e la previdenza sociale.