Il commento
La crisi dell’industria italiana
Una produzione negativa che si protrae ormai da ben 25 mesi consecutivi

Una profonda, e strutturale, crisi attraversa ormai l’intero sistema produttivo e manifatturiero italiano. Ai settori tradizionali della metalmeccanica, della chimica di base, della moda e delle TLC, si sono aggiunti progressivamente, in queste settimane, la crisi dell’agroalimentare, del commercio e del manifatturiero.
Solo nelle ultime settimane hanno varcato i portoni del Ministero del “Made in Italy” anche le crisi di Diageo, azienda piemontese di imbottigliamento, di Plasmon, di Conforama, dell’azienda della moda Vallesi e della bellunese Ceramica Dolomiti. Migliaia di lavoratrici e lavoratori, quindi, a rischio che si aggiungono ai 115.291 che già da mesi vivono sulla loro pelle l’incertezza del proprio futuro occupazionale.
Un’escalation drammatica, secondo la CGIL, che rende ancor più profonda la crisi dell’industria italiana, caratterizzata da una produzione negativa che si protrae ormai da ben 25 mesi consecutivi e da un calo del fatturato che, nel solo 2024, ha subito una diminuzione del 4,3%, con una stima di perdite di ricavi superiori a 40 miliardi di euro.
Anche i dati pubblicati dall’Osservatorio Statistico Inps su cassa integrazione guadagni, fondi di solidarietà e disoccupazione per i settori industriali sono, secondo il sindacato guidato da Landini, drammatici: a marzo 2025 sono state autorizzate più di 55,5 milioni di ore di ammortizzatori sociali rispetto ai 33,4 milioni di ore dello stesso mese del 2024 (+66,19%), con un contestuale aumento del ricorso ai fondi di solidarietà (+46,37% rispetto a marzo 2024). Nell’industria, in particolare, si registra un aumento del ricorso alla cassa integrazione straordinaria del 147,71% rispetto a marzo 2024.
In questo quadro, insomma, il sindacato di Corso Italia, ritiene che sia fondamentale andare a votare 5 SI ai referendum dell’8 e 9 giugno prossimi su politiche del lavoro e di cittadinanza.
Questi, si sostiene, hanno tra gli obiettivi “politici” soprattutto quello di riportare al centro del dibattito pubblico la condizione materiale di milioni di cittadine e cittadini, per un lavoro di qualità, stabile e sicuro. Tutti temi sui quali il Governo Meloni, si reputa, abbia scelto di indicare come soluzione quella dell’astensionismo, dimostrando, secondo i promotori dei quesiti, una scarsissima responsabilità istituzionale e la totale assenza di sensibilità democratica.
Viene da chiedersi, tuttavia, se non sarebbe, oggi, altresì necessario un dibattito, ampio e partecipato, per riflettere, seriamente, sulle politiche economiche e industriali adottate, da parte di tutti i governi di vario colore, negli ultimi decenni chiedendo, per quanto possibile, di andare oltre una narrazione, spesso ingiustificata, su veri o presunti boom dell’occupazione e crescita dei salari messa in campo dall’esecutivo in carica di turno.
Le ragioni della crisi, infatti, non sono sono nella capacità. o meno, di effettuare scelte coraggiose da parte dell’attuale governo, ma molto più strutturali e non riconducibili, ad esempio, solamente alle scelte commerciali dell’attuale inquilino della Casa Bianca o ad alcuni decreti (il “Job Act”) ormai “vecchi di un decennio”.