Il commento
Cose che non si twittano: una preghiera per il Papa
Quella preghiera che arriva dal passato

Non sarebbe più facile mandare un tweet? Scrivere un’email? Oggi comunichiamo con emoji e vocali, ma la Chiesa, quando prega, sceglie ancora un canto medievale in latino. Una scelta un po’ fuori moda? Forse. Ma c’è una bellezza che non passa.
Oremus pro Pontifice nostro Leone
Meditazione su un canto gregoriano per la Chiesa di oggi
Introduzione storica
Il canto gregoriano Oremus pro Pontifice nostro è uno dei più antichi e solenni inni di intercessione per il Papa.
Le sue origini risalgono all’alto Medioevo: veniva intonato nei monasteri benedettini e nelle cattedrali romane nei momenti liturgici più solenni, quando la comunità cristiana si raccoglieva per invocare la protezione e la guida divina sul Vescovo di Roma.
Non era una formula ornamentale, ma un atto spirituale profondo: una Chiesa inginocchiata per il suo pastore.
Nel corso dei secoli, questo canto ha attraversato le epoche più diverse — guerre, eresie, scismi, persecuzioni — mantenendo intatta la sua forza: affidare colui che presiede alla carità a Colui che tutto sostiene.
Nel 2025, questo canto viene intonato per Papa Leone XIV: nella fedeltà alla tradizione, nella fiducia che lo Spirito guida ancora oggi la barca di Pietro.
Perché pregare per il Papa con parole così antiche, apparentemente incomprensibili al mondo moderno?
Viviamo in un tempo di comunicazione rapida, immediata, a volte superficiale.
Pregare con un canto gregoriano sembra quasi un gesto anacronistico, fuori tempo.
Eppure, proprio in quella lentezza, in quella lingua che pochi comprendono, si nasconde una profondità che ci salva.
È un linguaggio teologico e mistico: la voce della Chiesa che prega insieme.
Pregare per il Papa non è un atto di cortesia.
È un gesto ecclesiale, un atto di comunione.
Chi prega per il Papa, cammina con lui.
Chi lo affida, si affida.

Oremus pro Pontifice nostro Leóne
(Preghiamo per il nostro Pontefice Leone)
Il canto si apre con la preghiera per il Papa: non un titolo, non un potere, ma un nome. Perché ciò che conta davvero è la persona. La voce del coro si unisce in un’unica invocazione: che il Signore accompagni quest’uomo chiamato a guidare la Chiesa in un tempo complesso.
Dóminus consérvet eum
(Il Signore lo conservi)
“Conservare” è un verbo che in latino ha un senso profondo. Non significa solo “tenere al sicuro”, ma custodire in ciò che è più vero.
Pregare perché il Signore conservi il Papa significa chiedere che non venga smarrita la verità della sua vocazione, la fedeltà al Vangelo, la dolce forza dell’amore che sostiene il ministero petrino.
Pregare perché venga conservato non è solo un augurio di salute: è desiderio che il suo cuore resti saldo nella chiamata ricevuta, perché la sua presenza sia luce per la Chiesa, stabilità per il cammino comune, segno di continuità nei tempi incerti.
et vivíficet eum
(e gli dia vita)
Non una vita biologica, ma quella vita che viene dall’alto, la vita dello Spirito.
Il Papa, come ogni cristiano, non è chiamato solo a sopravvivere, ma a vivere dello Spirito, a essere animato dal soffio del Risorto.
Pregare perché il Signore lo vivifichi è chiedere che ogni parola, ogni gesto, ogni scelta sia nutrita dalla vita che viene da Dio.
Perché un pastore vivo nello Spirito è un pastore che porta vita anche a un gregge affaticato.
et beátum fáciat eum in terra
(e lo renda beato sulla terra)
Il Papa è beato non perché ammirato, ma perché sa vivere le Beatitudini annunciate da Cristo.
La sua beatitudine non è fatta di applausi, ma di mitezza.
Non si misura nei consensi, ma nel pianto condiviso, nella sete di giustizia, nella misericordia praticata, nella pace cercata tra le tempeste del mondo.
È beato perché, nel cuore del Vangelo, sa restare saldo nella volontà di Dio, anche quando le onde si alzano.
Non è un trono a renderlo beato, ma il grembiule del servo.
et non trádat eum in ánimam inimicórum eius
(e non lo consegni all’anima dei suoi nemici)
I veri nemici non sono quelli che lo attaccano dall’esterno.
Sono quelli più sottili e pericolosi:
– la sfiducia,
– la solitudine,
– la tentazione di credere che tutto sia inutile, che la Chiesa sia stanca, che l’amore non basti più.
Sono i pensieri di scoraggiamento,
le parole che feriscono,
le attese che schiacciano,
il giudizio che isola.
Sono le voci oscure che cercano di far tacere la speranza.
Per questo preghiamo:
che il Signore lo custodisca interiormente,
che non permetta che il cuore del pastore venga consegnato al gelo dell’anima,
ma lo sostenga con il fuoco mite dello Spirito.
Perché se nel cuore del Papa arde ancora la speranza,
tutta la Chiesa può continuare a camminare nella luce.
E in un tempo di critiche rapide e analisi fredde, questa antica preghiera ci ricorda una verità semplice:
pregare per il Papa è partecipare alla sua missione.
È il modo più umile e concreto per sostenere la barca di Pietro, in cui siamo anche noi passeggeri e compagni di viaggio.
Il Papa è uno, ma porta il peso di molti.
La Chiesa è molti, ma trova unità in uno.
E finché ci sarà qualcuno che prega per il Papa,
la Chiesa non smetterà mai di sperare.
«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.» (Mt 16,18)