Il commento
Corpi che parlano: un’intuizione di Dio per i giovani
Una riflessione sui due giovani che saranno canonizzati domenica da papa Leone

I corpi di Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati non vanno contemplati come reliquie straordinarie, ma come un’intuizione che Dio consegna al nostro tempo. Non miracolo, non segno spettacolare: intuizione, cioè una verità che si impone allo sguardo e alla coscienza, una rivelazione che attraversa la carne e apre la mente al Mistero.

Carlo Acutis morì il 12 ottobre 2006 e fu sepolto nel cimitero di Assisi. Nel 2019, tredici anni dopo, la Congregazione delle Cause dei Santi autorizzò la ricognizione canonica. Il corpo era rimasto sottoterra tutto quel tempo, esposto alla normale decomposizione. Eppure i testimoni – tra cui il cancelliere della diocesi e i medici incaricati – constatarono un fatto sorprendente: la lingua e gli occhi erano intatti, proprio quei tessuti molli che per primi si dissolvono.
Pier Giorgio Frassati morì il 4 luglio 1925 e fu sepolto nella tomba di famiglia a Torino. Quando, nel 1981, si aprì la sepoltura per la ricognizione, dopo oltre cinquant’anni, il corpo appariva incorrotto: il volto sereno, i capelli immutati, come immerso in un sonno. La tomba fu richiusa con discrezione. Solo in occasioni eccezionali – la GMG di Sydney nel 2008, il Giubileo dei Giovani a Roma nel 2025 – la Chiesa ne ha permesso la venerazione.
Non fenomeni da spettacolarizzare. È un’intuizione: la carne non è destinata a dissolversi nell’insignificanza, ma custodisce la vita vissuta come un riflesso della vita che non muore.
I Padri dell’Oriente cristiano hanno sempre affermato che la carne non è un ostacolo allo spirito, ma la sua epifania. San Gregorio Palamas parlava della carne capace di partecipare alla luce divina, perché in essa l’uomo incontra Dio. Giovanni Paolo II, nella sua Teologia del corpo, ha mostrato che la sessualità e l’affettività non sono marginali, ma vie concrete attraverso cui il corpo rivela il destino dell’uomo: non il possesso, ma il dono.
Carlo, nel tempo della crescita e della pubertà, ha vissuto la scoperta del corpo come ogni adolescente. Pier Giorgio, innamorato di una ragazza, ha conosciuto la bellezza e la tensione dell’affetto umano. Non erano giovani “eterei” o “puritani”, ma ragazzi veri, che hanno conosciuto la fragilità della carne.
Eppure, accogliendo l’amore gratuito di Dio, hanno imparato ad amare se stessi in profondità. Questo amore ha spezzato la logica dell’egoismo della carne, che spinge a trattenere e a possedere per riempire il vuoto. Hanno fatto un passo ulteriore: avendo sperimentato di essere amati gratuitamente, hanno voluto amare così, gratuitamente.
Viviamo in una cultura che ha fatto del corpo il luogo di una contraddizione. Da un lato lo si esalta come immagine da esibire, oggetto da perfezionare, strumento di performance. Dall’altro, lo si percepisce come limite, fonte di ansia e di frustrazione, fino al punto che tanti giovani si sentono schiacciati dal peso del corpo e della sua immagine.
La psicologia e l’antropologia ci ricordano che il corpo non è un accessorio dell’io, ma è la persona stessa nella sua visibilità. Il corpo è memoria, relazione, linguaggio. È ciò che ci permette di entrare nel mondo e negli altri. Edith Stein scriveva che la verità non si riduce a concetto astratto, ma si sperimenta nella carne: nel modo in cui sentiamo, percepiamo e viviamo il nostro essere al mondo.
Un tratto drammatico della cultura odierna è che molti giovani non si sentono più “a casa” nel proprio corpo. È come se il corpo fosse un estraneo, un involucro da correggere o persino da rifiutare, mentre l’identità interiore si cerca altrove. Questa frattura tra ciò che si sente di essere e la realtà corporea produce una profonda sofferenza: è una separazione che, portata alle estreme conseguenze, rischia di riproporre l’antica illusione di un’anima separata dal corpo.
L’antropologia cristiana conferma che l’uomo non è anima senza corpo, né corpo senza anima: è un’unità inscindibile, chiamata alla comunione con Dio. Per questo l’intuizione che ci viene dai corpi di Carlo e Pier Giorgio è tanto più attuale. Essi ricordano che il corpo non è nemico da rifiutare, ma linguaggio da interpretare; non è peso da cui fuggire, ma dimora in cui Dio stesso viene ad abitare.
La loro carne intatta non proclama un’eccezione biologica, ma dice una verità antropologica: il corpo è partecipe della nostra identità più profonda e, abitato dall’amore, custodisce in sé una promessa che non si corrompe.
Come Mosè, il cui volto risplendeva perché aveva parlato con Dio ed era suo amico (Es 34,29), così i corpi di Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati ci parlano oggi. Non come reliquie, ma come intuizione. Ci dicono che la carne, vissuta come dono, diventa già ora anticipo di risurrezione.
In un mondo che idolatra l’immagine e teme la fragilità, Dio consegna ai giovani due corpi che parlano di amicizia, di verità e di amore. È questa l’intuizione che non si corrompe: solo l’amicizia salva, solo il dono libera, solo l’amore resiste alla morte.
