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Testimoni di fede: Francesco Leopoldo Torello

Le storie di uomini e donne che hanno vissuto la loro fede tra i più poveri e indifesi; uomini e donne in missione

Parole chiave: missionari (18), testimoni (14)
Nel mese missionario

Figlio di Pietro e di Maria Puccinelli, fra’ Raffaele (al secolo Francesco Leopoldo Torello) nasce a Livorno il 23 luglio 1827. Entrato nell’Ordine dei Cappuccini, veste l’abito il 2 settembre 1845. Terminato il noviziato, è chierico-studente nei Conventi di Pistoia, Borgo S. Lorenzo e Pisa dove, il 25 gennaio 1852, emette la professione solenne. Viene ordinato sacerdote il 10 aprile dello stesso anno. Poco dopo fa domanda di essere inviato in Missione: la sua richiesta viene accolta, tant’è che fa parte del gruppo di missionari inviati, nel 1854, nelle Indie Orientali. Destinato alla missione di Bombay, sede dell’appena eretto Vicariato apostolico, vi resta fino all’inizio del 1859.

Viene destinato successivamente a Patna, dove incontra alcune difficoltà di inserimento nell’attività della Missione, non solo per la sua personalità “forte, dinamica ed indipendente”, che genera alcuni dissensi con il Vicario Apostolico, ma anche perché costretto all’assistenza della guarnigione militare inglese: un compito che certamente non rientrava nel programma del giovane cappuccino, da lui elaborato all’indomani della sua ordinazione sacerdotale. Inviato a Corakpur dove, nel 1860, costruisce la prima chiesa dedicata a san Giuseppe il p. Raffaele, nel 1862, è a Saugor, nel 1865 a Jamalpur dove, l’anno seguente (1866), edifica un’altra chiesa. Trasferito a Bettiah, vi rimane cinque anni: qui ritrova l’equilibrio iniziale che gli consente un lavoro capillare e profondo, meravigliando gli stessi confratelli per la sua disponibilità a tutto e a tutti.
Nel 1872 il nuovo vicario apostolico, mons. Paolo Tosi, lo invia nuovamente a Sagar (Saugor): una missione da creare sin dalle fondamenta perché totalmente priva di cristiani. Il cappuccino livornese vi costruisce subito una chiesa, dedicandola all’Arcangelo Raffaele (1874), dedicandosi contestualmente all’accoglienza dei bambini orfani e abbandonati, iniziando con un piccolo di nome Damat: lo battezza e lo tiene in casa con sé. Musulmani e indù reagiscono negativamente alla sua iniziativa, tanto che preferiscono veder morire d’inedia e di solitudine gli orfanelli che riempiono le strade anziché affidarli a un “infedele” venuto da lontano. Malgrado ciò il p. Raffaele non deflette dal suo impegno. Dopo pochi mesi numerosi bambini si aggiungono a Damat, tanto che la casa li contiene con difficoltà. Aiutato dai propri confratelli, dai “cappellani militari” e dal vescovo, in appena 6 anni il padre Raffaele - come scriveva al nuovo Vicario Apostolico mons. Francesco Pesci - accoglie ben 84 orfani. Di questi 25 erano morti per la denutrizione e gli stenti precedentemente subiti, 6 si erano successivamente sposati e ben 53 erano ancora da lui ospitati. I bambini consentono al missionario di avvicinare le famiglie che, nel frattempo, viste le premure per i piccoli, entrano in confidenza con il Cappuccino livornese. Due famiglie si convertono e, unite ad altre tre che p. Raffaele aveva fatto venire da Bettiah, costituiscono il primo nucleo della Chiesa cattolica di Sagar (una Chiesa destinata a diventare Diocesi). Per ovviare all’ostracismo nei confronti dei neo-convertiti da parte degli indù e dei musulmani P. Raffaele acquista “con sudori e privazioni” un terreno sull’altipiano che domina Sagar, lo bonifica liberandolo dalle sterpaglie e dagli animali selvatici, e vi costruisce un piccolo villaggio: Shampura. Prende così vita un progetto che anticipa di circa un secolo quel modulo di evangelizzazione e promozione umana che sta alla base della missionologia moderna. Costruito un secondo orfanotrofio con annessa una scuola d’arti e mestieri il p. Raffaele cerca una collaborazione in quattro ragazze che sembrano disponibili ad una scelta religiosa di ispirazione francescana. Ma l’esperimento non riesce e il vescovo rimedia inviando alcune Suore Terziarie Francescane indigene con le quali Shampura diventa una piccolà città. Con la trasformazione del Vicariato Apostolico di Patna in Diocesi di Allahabad si costituisce anche una “Missione di Allahabad” e il p. Raffaele, per la grande stima in cui è tenuto dai confratelli, ne viene eletto Superiore, il che lo costringe ad occuparsi di tutta la Missione. Il nuovo incarico, tuttavia, non lo sradica da Shampura che resterà in cima ai suoi pensieri fino alla morte avvenuta il 21 settembre 1894. La povertà estrema, visibile nella vita, nel vestito e in tutto ciò che aveva in uso, la grande perizia nella lingua, la validità della sua catechesi, la fedeltà alla vocazione francescana, il riconoscimento della sua opera da parte di cristiani, indù e musulmani che, tutti uniti, vollero onorarlo il giorno della sua morte con “corone, ghirlande e fiori” hanno indotto uno storico della diocesi di Allahabad a ricordarlo come “il santo fra’ Raffaele”: forse i segnali di un processo di beatificazione.

Nel mese missionario
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