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Myanmar, la strage di Natale Decine i cristiani massacrati

I militari hanno massacrato e bruciato decine di civili nello Stato a maggioranza cristiana del Kayah: donne e bimbi tra i 38 morti

Parole chiave: strage (2), Myanmar (4), martiri cristiani (16)
Martiri cristiani

Sarebbero 38 i morti, tra cui un bambino e due operatori dell’organizzazione umanitaria Save the Children che risultano dispersi, le vittime del nuovo eccidio perpetrato dai militari al comando della giunta guidata dal generale Min Aung Hlain che ha preso il potere in Myanmar il primo febbraio. La strage, segnalata da fonti della resistenza, è avvenuta il 24 dicembre a Hpruso, nello Stato orientale di Kayah, dove oltre la metà della popolazione è di fede cristiana, in gran parte cattolici. Gli autoveicoli di una colonna in transito su una strada trafficata sono stati attaccati e poi dati alle fiamme mentre i passeggeri, probabilmente persone in fuga dai combattimenti, sono stati trucidati. Un massacro portato a sangue freddo, secondo le milizie locali di etnia Karenni (Kayah), ma che per le fonti militari sarebbe dovuto al mancato arresto dei veicoli a un posto di blocco. In un messaggio in cui ha fornito anche alcuni particolari di quanto avvenuto, il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente della Conferenza episcopale birmana, ha parlato di «un’atrocità straziante e orribile che condanno senza riserve con tutto il cuore».

Il cardinale ha sottolineato come «il fatto che i corpi di coloro che sono stati uccisi, siano stati bruciati e mutilati e siano stati trovati il giorno di Natale, rende questa spaventosa tragedia ancora più commovente e nauseante». Il porporato ha infine lanciato un appello a tutti coloro che nel Paese dispongono di armi da fuoco a deporle: «Esorto l’esercito del Myanmar, il Tatmadaw, a smettere di bombardare e colpire persone innocenti, distruggere case e chiese, scuole e cliniche e ad avviare un dialogo con il movimento democratico e i gruppi armati etnici. Chiedo inoltre ai gruppi armati e alle Forze di difesa popolare di riconoscere che le armi non risolvono la crisi ma piuttosto la perpetuano».

Il sottosegretario dell’Onu per gli Aiuti umanitari, Martin Griffith si è detto «inorridito» e ha condannato 'questo incidente grave e tutti gliattacchi contro civili nel Paese, che sono proibiti in base al diritto umanitario internazionale'. A suavolta, l’inviata speciale delle Nazioni Unite per la Birmania (Myanmar) di recente nomina, Noeleen Heyzer, si è detta «profondamente preoccupata per la continua escalation della violenza».

La strage di Natale conferma la brutalità della repressione militare che ha provocato oltre 1.300 vittime e ha spinto alla fuga oltre 300mila abitanti. Pochi giorni fa, la Bbc aveva confermato quattro uccisioni di massa avvenute a luglio per un totale di quaranta vittime, poi sepolte in fosse comuni clandestine nella foresta nell’area di Sagaing teatro di scontri tra militari e Forze di difesa popolare. Ieri, forse suggerito dall’attenzione internazionale nei confronti del regime, è arrivato un nuovo rinvio del tribunale militare chiamato a giudicare Aung San Suu Kyi per possesso illegale di ricetrasmittenti e di apparecchi che provocano interferenze nei segnali radio. La sentenza, già posticipata dal 20 dicembre, è stata spostata al 10 gennaio.

La notizia è stata diffusa da fonti vicine alla donna che è diventata simbolo della lotta nonviolenta contro la dittatura e dal 2015, come Consigliere nazionale e ministro degli Esteri, ha di fatto indirizzato il Paese. Per lei, agli arresti da febbraio, sono una decina i capi d’imputazione, di cui due già arrivati a giudizio per quattro anni totali di carcere.

Fonte: Avvenire
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