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I due momenti vissuti a Livorno

Celebrata la XXXIV Giornata del Dialogo tra Ebrei e Cristiani

Parole chiave: amicizia ebraico cristiana (4)
"Uno sguardo nuovo" sull'amicizia ebraico cristiana

Il 17 gennaio da 34 anni si celebra  la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei per imparare a guardarsi con cuore disarmato, riconoscendo lo strettissimo legame tra le due comunità di fede.  Come tema per questa edizione la Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo ha scelto un passo del profeta Isaia “UNO SGUARDO NUOVO” (Is 40,1-11)

Anche Livorno ha celebrato questa giornata che ha vissuto due momenti significativi. Nel primo  momento Ebrei e Cristiani si sono radunati davanti alla Kannukkìa esterna alla Sinagoga per recitare il Salmo 21, che ha risuonato nella piazza secondo le lingue delle diverse comunità che da anni vivono in fraternità nella nostra città. Particolarmente commovente il momento in cui il Salmo è stato declamato dal sacerdote greco cattolico ucraino. Quindi è stata acceso il candelabro e sia il Vescovo monsignor Simone Giusti che il Rabbino Capo Avraham Dayan, hanno posto l’attenzione sulla necessità, specie in questi momenti di conflitto, di lasciarci illuminare dalla luce del Signore che può rischiarare le tenebre e condurci sul sentiero di pace.

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Il secondo momento si è tenuto nella sala delle conferenze della Comunità ebraica e il Direttore del Cedomei, Andrea Zargani nel dare il saluto ai presenti ha sottolineato come il “dialogo con l’ebraismo è qualcosa di assolutamente speciale per i cristiani, poiché il cristianesimo ha radici ebraiche che determinano l’unicità delle relazioni tra le due tradizioni» .

Il Rabbino ha quindi dato la propria lettura della pericope di Isaia spiegando in cosa consiste la specificità ebraica di questo brano. È innanzitutto la sua speciale collocazione liturgica, che a sua volta è espressione di un pensiero importante. Nel calendario ebraico, si celebra d’estate un periodo speciale, particolarmente austero, di tre settimane, che inizia con un digiuno (il 17 di Tamuz) e finisce con un altro sofferente digiuno, ancora più rigoroso, quello del nove di Av. In questo giorno si ricordano le distruzioni del primo e del secondo Santuario di Gerusalemme e molti altri eventi luttuosi che hanno funestato la storia ebraica. Nel sabato che precede il 9 di Av si legge, con melodia struggente, il capitolo 1 di Isaia, quello della “Visione”, severa e minacciosa. Nel sabato successivo l’atmosfera cambia, è il momento della ripresa, della consolazione, il brano scelto per segnalarlo è proprio Isaia 40, che inizia con le parole Nachamù nachamù ‘amì, “Consolate, consolate il Mio popolo”. Questa volta la melodia è solenne e festiva. Tutto questo per dire che c’è una precisa interpretazione storica nell’uso di quel brano. Il popolo di Israele, pur colpito da sciagure, sa che dopo il lutto viene la consolazione, la vita riprende, il legame con il Signore torna a esprimersi su toni più sereni, nell’attesa fiduciosa della completa redenzione, su questo percorso il messaggio è sempre valido.

Il professore di Sacra Scrittura Marcello Marino ha contestualizzato dal punto di vista storico la pericope che è quello dell’annuncio della fine dell’esilio babilonese, nel 538 a.C, seguito alla caduta di Gerusalemme nel 587 a.C. L’esilio e il ritorno rappresentano una sorta di mistero pasquale nella storia di Israele: una morte e “resurrezione” come attesta la misteriosa figura del servo sofferente di Isaia, presente nei capp.40-55, di cui la pericope scelta per questa giornata costituisce il prologo.

Gli autori del Nuovo Testamento rileggono questo evento come figura di un altro mistero pasquale, quella del passaggio di Gesù dalla morte alla resurrezione e in lui vedono realizzarsi la figura del servo sofferente. Questi stessi autori, hanno operato riletture fondamentali di questa pericope e tra quelle più famose ricordiamo l’applicazione a Giovanni Battista della voce che grida nel deserto o la metafora del Dio pastore attribuita a Gesù (Gv10)

Anche la cultura cristiana ha rielaborato il dramma dell’esilio babilonese, basti ricordare in ambito musicale il “Nabucco” di Verdi del Marzo 1842.

Ritornando però al passo scelto che evidenzia l’aspetto consolatorio e come questa esperienza ridia fiducia e coraggio al popolo di Israele cogliamo da una parte la potenza di una parola che opera nei destinatari (come la pioggia per la terra) suscitando in loro la fede per credere in ciò che ascoltano. Secondariamente questa parola si accompagna ad immagini suggestive ed eloquesti (preparate una via piana tra monti e vallate… il Dio pastore che accompagna gli esuli come un gregge) tratto tipico della poesia e dell’oracolo profetico. “Si offre così un immaginario che si pone come alternativo alla realtà dei fatti con la pretesa di essere più vero della realtà che si tocca. Potenza della Parola e potenza dell’immagine si rimandano a vicenda”. Infine alla potenza della parola si accompagna la concretezza del segno caratterizzato costitutivamente da umiltà, debolezza, precarietà: la gloria (il kabod) del Signore si rivela in una piccola carovana di esuli che tornavano a Gerusalemme: “Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno” (v.5). E’ la legge della sproporzione, tipica della storia della salvezza.

le foto della giornata scattate da Antonluca Moschetti

https://photos.app.goo.gl/HePnYDjou4ucJG8r7

"Uno sguardo nuovo" sull'amicizia ebraico cristiana
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