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Ricordare fa bene

Fratelli ebrei, fratelli cristiani: un percorso di memoria attraverso la figura di monsignor Roberto Angeli

Parole chiave: don roberto angeli (5)
Un sacerdote che visse all'insegna della fraternità

Il mese di gennaio è dedicato a tre importanti avvenimenti religiosi e culturali: il 17 la Giornata dell’Amicizia ebraico-cristiana, il 27 gennaio la Giornata della Memoria, dal 18 al 25 gennaio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. In un momento così complesso, di pandemia globale, fortemente caratterizzato da un richiamo pressante di papa Francesco alla fraternità aperta, viene da pensare a come rendere questi eventi propulsivi di stili relazionali diversi, di vicinanza reale, di condivisione di un percorso che parte, per ciascuno degli appuntamenti, da lontano.

Intanto è necessario costantemente ricucire alla storia della diocesi e della città, figure di riferimento che hanno reso possibile, con i loro vissuti, la loro testimonianza e la loro competenza, la realizzazione di modalità di incontro e di dialogo che si è strutturato, modificato e ampliato nel tempo. Non entro nel merito della storia di queste giornate, del perché e del come sono state volute, ideate, programmate, condivise. Ad ampio raggio voglio dare importanza ad una delle tante figure di riferimento che, con la sua storia umana ed in particolare sacerdotale, rappresenta un eccezionale “binocolo”, per renderceli meno lontani, questi appuntamenti e, ai più, scarsamente significativi. Monsignor Roberto Angeli è, fuor di qualsiasi dubbio, figura esemplare che ci permette di fare un salto nel passato per meglio comprendere le urgenze dell’oggi.

Novembre 1943. “Sentii suonare al campanello, mi recai ad aprire e mi trovai davanti un giovane prete (don Angeli) che mi porse 1000 lire. Alla mia domanda  su chi inviasse tale offerta mi rispose ‘Anime buone’. Tornò almeno altre quattro volte. In seguito all’ordine di evacuazione però non poteva bastare una offerta: occorreva trovare un luogo sicuro per i ricoverati (ventitrè, scrive don Angeli nel suo libro “Vangelo nei lager”, quaranta secondo la testimonianza dell’avvocato Funaro- ndr). Don Angeli ed un altro giovane prete (don Giuseppe Spaggiari) trovarono una soluzione: una villetta disabitata in Via Nardini Despotti(…). I due preti, scalato il muro di cinta, aprirono e poco dopo si improvvisarono facchini e cominciarono a  trasportare masserizie con un carretto. Gli Ebrei vennero sistemati alla meglio in attesa di alloggi più sicuri. Molti Ebrei vennero accompagnati fuori  Livorno da don Angeli. Un gruppo abbastanza numeroso andò a stabilirsi in Via Micali 9 dove rimase fino alla liberazione. Don Angeli tornò più volte a dare il suo aiuto e la F.U.C.I. contribuì alle spese per il mantenimento dei ricoverati. E’ da notare che don Angeli non si preoccupava solo delle più urgenti necessità materiali, ma pensava anche alle esigenze spirituali dei singoli come dimostra l’episodio della Signorina Pia Sonnino. Profondamente religiosa ed osservante non si dava pace per l’impossibilità di avere gli azzimi per celebrare Pesach. Don Angeli tentò inutilmente di spiegarle che Dio avrebbe capito che era impossibilitata a celebrare la Pasqua. Poiché vide che non si dava pace, pochi giorni dopo egli tornò con della farina destinata a confezionare le ostie che servì invece alla Signorina Sonnino a confezionare il pane azzimo” (testimonianza della  signorina F. Procacci)

Ciò che colpiva in don Angeli non era solo la dedizione incondizionata al prossimo, ma il rispetto delle convinzioni religiose altrui, quello stesso rispetto che l’aveva indotto nel1939 a concedere certificati falsi di battesimo piuttosto che scendere a compromessi con la coscienza... e non fu l’unico prete della nostra diocesi. La coerenza tra i principi e la vita era l’esigenza fondamentale della sua anima. Per questo rischiò fino in fondo opponendosi al nazifascismo con l’annuncio del Vangelo, ponendo i principi del Vangelo, in particolare quello della sacralità della persona, al di sopra di ogni possibile violenza e dittatura. Si oppose con atteggiamento di sacrificio per i fratelli ebrei; per i partigiani fu nominato cappellano del gruppo resistente “Giustizia e Libertà”, collegò le fila resistenziali toscane (in particolare livornesi e fiorentine) con quelle romane e romagnole, sostenne gli universitari livornesi in scelte etiche e politiche a favore di ebrei, partigiani ed ex militari che rifiutarono di essere arruolati al seguito della Repubblica di Salò. Sulla relazione dell’avvocato Funaro (presso C.D.E.C. di Milano), leggiamo: “Ma su tutte le splendide figure di sacerdoti- che si sono rivelati in questo triste periodo di aberrazione collettiva- spicca quella angelica ed eroica di “don X”(don Angeli, ndr). Verrà un giorno in cui potremo parlare liberamente di questo giovane prete, dotto e patriota. Ora il riserbo s’impone, perché catturato dai nazisti si trova ancora in mani loro e tutti noi che lo abbiamo conosciuto trepidiamo tuttora per la sua sorte. Da lui è stato ricevuto finora soltanto un bigliettino in questi termini: -Sono sereno e tranquillo dinanzi a Dio. Ho solo il dispiacere di aver dato dolore a quelli che mi amano. Non sono pentito. Farei di nuovo quello che ho fatto”.

Arrestato e deportato a Gusen, Mauthausen e Dachau col “triangolo rosso” del prigioniero politico avverso al nazifascismo, vive il dramma dell’esperienza concentrazionaria insieme ad altri sacerdoti italiani, polacchi e di altre nazionalità ma anche insieme a ministri ortodossi e protestanti tutti riunite nelle baracche 16 e 18 di Dachau. Vive la testimonianza sacerdotale giorno dopo giorno, subendo l’oltraggio della violenza, l’assalto della malattia, la precarietà fisica. Ma è tutto vissuto come compimento della vita sacerdotale, donazione di sé oltre l’immaginabile, vicinanza spirituale ai deportati per i quali intonava la preghiera della sera e quella del “ribelle” (scritta e divulgata da Teresio Olivelli, dirigente A.C.) sul sacrificio di sé e l’avvento del Regno in un tempo nuovo. Confessava con quell’ardore sacerdotale di chi sa che la confessione era l’unico sacramento con cui era possibile dispensare la Grazia, il perdono, la riconciliazione. Era infatti  vietato celebrare l’Eucarestia…anche se più volte, in segreto, don Angeli lo aveva reso possibile, nel buio più fitto della baracca, sussurrando, a memoria, il messale.

“Il desiderio dell’unione era in realtà acuto e profondo in tutti gli ecclesiastici — cattolici, ortodossi, protestanti — gettati dall’odio nazista in un unico crogiuolo di sofferenze inaudite. Noi amiamo vedervi la mano della Provvidenza che dai grandi mali sa trarre beni ancora maggiori. Forse quell’anelito all’unione che caratterizza attualmente le chiese cristiane ed è uno dei grandi motivi del Concilio Ecumenico Vaticano II, trova una delle sorgenti profonde in quella coabitazione e sofferenza sacerdotale negli spaventosi Lager nazisti. I preti che là penarono e morirono erano convinti che la loro sofferenza e la loro morte non sarebbero state vane per la chiesa… Nello sfinimento dei corpi, in mezzo all’orrore dei cadaveri nudi ammonticchiati all’angolo di ogni cortile, mentre incombeva per ciascuno — reso ancora più grave dell’epidemia di tifo — il pericolo di una morte imminente, lo spirito si prendeva la sua rivincita, e quegli uomini spaziavano nelle più alte sfere dell’intelligenza e del sentimento”.

Così nei gruppi di resistenza, nelle carceri e nei campi di sterminio, “migliaia di uomini di fede delle diverse confessioni, impararono a conoscersi, a stimarsi, ad aiutarsi come fratelli, a sacrificarsi gli uni per gli altri, a pregare insieme, a morire insieme… Amavamo ugualmente Cristo e in suo nome, per essergli fedeli, avevamo affrontato il nazismo; ed ora insieme univamo le sue alle nostre sofferenze. Senza più titoli né privilegi, rosi dalla fame e dal freddo, torturati dai pidocchi e dalla paura, alla mercè dell’odio e della brutalità, imparammo a scoprire l’essenziale che ci univa e la fragilità delle barriere che ci avevano divisi… Per l’unione delle chiese alcuni di quei religiosi, cattolici e protestanti, offrirono la loro vita a Dio; altri fecero voto di dedicare la loro esistenza, se fossero sopravvissuti, a quell’ideale. La nostra lotta e la comune sofferenza di tanti cristiani sono dunque senza dubbio all’origine di quella splendida fioritura dell’ecumenismo …”( Roberto Angeli, Vangelo nei lager, Stella del Mare, Livorno, 2006).

Ecco, ricordare fa bene. Fa bene farlo se si è grati a chi per le giornate speciali di oggi, ha dato, ieri, se stesso, con generosità e audacia. Fa bene farlo per riflettere sulle dinamiche interreligiose ed ecumeniche straordinariamente aperte dal Concilio Vaticano II, in particolare con la dichiarazione “Nostra Aetate”; fa bene farlo per ricordare l’ignominioso sterminio nazifascista del popolo ebraico e di tutti coloro che uccisi o opponendosi e sacrificando la propria vita, hanno scritto la storia della libertà, della democrazia e, in tempi non sospetti, di una fraternità ancora tutta de declinare, in filigrana ed oltre giornate particolari.

 

*dir Centro Studi Roberto Angeli (Livorno)

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