Diocesi
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Acqua, maledizione e benedizione

Preghiamo per le vittime e per i loro familiari

Parole chiave: collinaia (4), messa (75), alluvione (13)
La celebrazione a Collinaia

Quattro anni fa l'alluvione che fece vittime e devastò interi quartieri; oggi il ricordo nel giorno dell'anniversario e la Messa presieduta da mons. Giusti. Ecco le sue parole pronunciate nell'omelia e alcuni scatti della celebrazione.

 

La parola "acqua" suscita sicuramente in noi sentimenti positivi, poiché l'acqua è il presupposto insostituibile per una vita sana e l'elemento in assoluto più importante. Allo stesso tempo l'acqua può significare anche immenso dolore, minaccia, paura, terrore se pensiamo alla siccità, alla mancanza d'acqua, a fonti contaminate, alluvioni e smottamenti. Acqua è vita, acqua è anche morte. Da sempre l'elemento acqua unisce in sé questo potenziale contrario: acqua, maledizione e benedizione.

"Acqua, tu non hai sapore, né colore, né aroma. Non si può nemmeno descriverti. Ti si beve senza conoscerti. E non è vero che sei indispensabile per la vita: tu stessa sei la vita"[1]

Il 71 % della superficie terrestre è coperta da acqua.

Il 97% di questa massa d'acqua è composto da acqua salata.

Del rimanente 3% la maggior parte è irraggiungibile, imprigionata nelle calotte polari, in profonde falde, in ghiacciai e nuvole.

Meno dello 0,5% è disponibile come acqua dolce potabile ed è distribuito in maniera estremamente ineguale sul globo. Come dappertutto dove i beni preziosi sono distribuiti in maniera diseguale, anche nel caso dell'acqua potabile ci sono grandi problemi di rifornimento e una spaccatura tra poveri e ricchi.

Montagne e colline rivestono una funzione centrale nel rifornimento.

Qui nascono fiumi e torrenti. Il concentrarsi di fenomeni come il turismo, l'agricoltura intensiva e l'urbanizzazione portano allo sfruttamento eccessivo delle risorse locali ed al loro inquinamento. Agricoltura, industria e trasporti inquinano progressivamente le acque e rendono fragile il territorio. Alluvioni, frane e smottamenti nel passato più recente ci ricordano con forza che la natura ha raggiunto i limiti massimi della sopportabilità.

C'è oggi bisogno di una nuova consapevolezza e della collaborazione di tutti per la tutela delle montagne e delle acque. Oltre la retorica.

 

L’invocazione del cambiamento climatico sa orami di sterile quanto ovvia litania.

Come temeva anni fa il primo segretario dell’Autorità di Bacino del Po, il cambiamento climatico può diventare un comodo alibi per giustificare l’inerzia e l’ignavia di una comunità e di chi la governa. Se la colpa è del clima, ma che colpa abbiamo noi? Se è tutta colpa del clima che cambia, non resta che battersi il petto e poi correre a comprare un Suv elettrico.

Quindici anni fa, Manfred Spreafico, che fu per 20 anni presidente della Commissione Internazionale per l’Idrologia del Bacino del Reno, scrisse che nei bacini minori “la crescita improvvisa dei livelli idrici, nonché le elevate velocità del deflusso combinate con l’enorme trasporto di sedimenti, richiedono procedure speciali nella gestione del rischio alluvionale”[2] Significa che soltanto un’efficace ed efficiente catena di preavviso, preannuncio, allarme, pianificazione e mobilitazione delle procedure di emergenza può contenere il pesante tributo di vittime, in serbo agli eventi idro-meteorologici “fuori scala”.

 

Acqua e fango si sono presi l’anima di Livorno in una notte in cui la città era distratta, indifesa, impreparata, buia, sola. È accaduto la notte tra il 9 e il 10 settembre 2017, con la città ancora “in vacanza”.  Su Livorno in quella tragica notte si sarebbe scatenata una tempesta di pioggia, fulmini e vento e che nel giro di poche ore, in quella drammatica notte tra il 9 e il 10 settembre, lascerà dietro di sé danni per decine e decine di milioni di euro e nove morti: Simone 37 anni, sua moglie Glenda, il figlio Filippo di 4, nonno Roberto 65 anni, Martina, 34, Matteo 22, Roberto 74 anni, Gianfranco 67 anni, Raimondo 70 anni. E’ il tragico bilancio dell’alluvione di Livorno.

 

Questa sera siamo a pregare per loro e per i familiari sopravvissuti a questa tragedia che portano ancora in essi le tragiche ferite di quella tremenda notte.

La morte li ha presi ma non li ha annientati gettandoli nel nulla perché il nulla non esiste, chi l’ha incontrato mai? Esso è un nuovo mito del XX secolo come lo era il Demiurgo di Platone.

 

La Provvidenza Divina li ha salvati.

La morte non ha l’ultima parola, bensì l’amore.

L’Amore che è Dio, li tiene in vita.

Il tuo amore, partecipe dell’unico amore divino, li tiene in vita.

Tu li ami ancora e il loro amore per te è ancora, a distanza di anni, reale, a volte struggente, carico di desiderio, di voglia di rivedersi e riabbracciarsi di nuovo.

Accadrà.

 

Ci attende Cristo vincitore della morte. Egli è il paradiso.

Noi conosciamo Cristo, noi conosciamo cosa ci attende perché già viviamo in Cristo.

Ciò che c’è dinanzi non è una generica speranza ma la concretezza di Cristo Gesù.

Quante persone l’hanno già incontrato.

La Chiesa mai ha detto se una persona è all’Inferno ma ha proclamato e continua ancora oggi, ad affermare chi è in paradiso, chi ha passato indenne attraverso la porta della morte e vive in Dio manifestandolo, ovvero compiendo oggi in mezzo a noi atti come quelli di Gesù.

L’Amore quanto è tale, non è volatile come le parole ma concreto e forte come un abbraccio.

In Cristo li abbracciamo e li abbracceremo.

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[1] Antoine de Saint-Exupéry, Vento, sabbia e stelle, La sete.

[2] IAHS Publication 308, 2006.

La celebrazione a Collinaia
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