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Signore tu mi hai preso per mano e mi condurrai fino in fondo al cammino

Tante comunità, l'esperienza del circo e dei migranti, gli scout la Fondazione Caritas: da sempre l'attenzione ai più poveri

Parole chiave: 50 anni sacerdote (1), don luciano cantini (6)
I 50 anni di sacerdozio di don Luciano Cantini

Nei giorni scorsi don Luciano Cantini ha compiuto 50 da sacerdote. La festa insieme agli amici e agli ospiti della Fondazione Caritas, di cui è presidente. Lo abbiamo intervistato per ricordare quel giorno e fare un bilancio di questi anni.

50 anni dalla tua ordinazione sacerdotale: cosa ricordi di quel giorno? Com'era nata la tua vocazione?

È impossibile dare un’origine ad un impegno della vita che nasce da un intreccio di incontri, emozioni, sensazioni … alcune talmente sommesse che diventano percettibili solo ad anni di distanza, c’è molto poco di razionale a guidare la vita … sono le emozioni e le intuizioni che nel discernimento orientano la tua storia personale.

Qual è stato il tuo percorso in questi anni? quali comunità hai seguito e quali incarichi?

Parlare di percorso mi pare riduttivo di una mera cronologia; i percorsi sono tanti … certo ci sono le Comunità che mi sono state affidate come collaboratore, all’inizio: la Seton e il Rosario; e quelle che mi hanno visto parroco: Santa Croce a Rosignano e Sant’Agostino, san Pio X  a Livorno diventata poi Unità Pastorale con san Matteo; ognuna di queste comunità mi ha fatto capire quanto sia necessario l’ascolto, la reciprocità del formare ed essere formati; in ognuno non sono mai stato lo stesso. Mentre il tempo passava aumentava l’esperienza, ma il tessuto di ogni comunità è profondamente diverso e ha chiesto di adattare il mio servizio a realtà diverse. Una cosa è stata la Comunità di Rosignano, quella di un paese, diversa dalla città dove sono cresciuto, una comunità vivace ansiosa per il bisogno di una chiesa in cui ritrovarsi. L’incontro con la sagacia e l’ironia di Papa Giovanni Paolo II per la benedizione della prima pietra della chiesa mi ha segnato davvero. Sant’Agostino è stato un ritorno là dove sono cresciuto e ordinato; succedere a don Betti, un mito nella pastorale, è stato non semplice, ma la bontà delle persone la vicinanza ai più poveri è stata di grande aiuto. Per San Pio X è stato diverso, rientravo in Diocesi dopo la parentesi del servizio in CEI di cinque anni, ero spaesato in una realtà che in quei pochi anni era profondamente cambiata, lì ho trovato l’accoglienza che mi ha permesso di inserirmi di nuovo nella realtà per cui sono presbitero. Poi è arrivata la novità dell’Unità Pastorale, una sfida totalmente da inventare tra le difficoltà di combinare storie e persone diverse.

Ma a queste si sono intrecciate diverse esperienze che mi hanno segnato.

L’esperienza Scout mi ha aiutato a comprendere la vita come servizio, è stata una esperienza forte in una associazione laica che mi ha lanciato a vivere l’internazionalità e la responsabilità formativa arrivando al livello di formatore dei formatori.

Forte è stata l’esperienza della prepotente forza della natura, dall’alluvione di Firenze, i terremoti del Friuli e dell’Irpinia che hanno fatto nascere la Caritas, dai primi passi a tentoni alla struttura attuale capace di programmazione e gestione delle risorse.

La relazione con gli immigrati mi ha fatto scoprire quanto sia facile essere un po’ razzisti senza volerlo, come sia facile lasciarsi condurre dai pregiudizi nelle relazioni sociali come nella politica. Molto tempo dopo, per dieci anni ho ospitato due fratelli del Marocco, questa convivenza mi ha educato al superamento dei confini culturali e religiosi… purtroppo il Signore li ha chiamati a sé uno dopo l’altro ancora giovani.

Come non parlare del Circo, un mondo fantastico e faticoso totalmente dedicato alla felicità degli altri, difficile da conoscere nell’intimo, nelle dinamiche sociali e familiari. Con loro ho provato l’emozione della pista fatta di segatura: una dimensione provvisoria capace segnare la vita n maniera definitiva. E come per il circo, anche la provvisorietà del mondo marittimo, della disponibilità all’accoglienza ed offrire anche nel porto di Livorno un luogo di incontro per i naviganti di passaggio hanno dato forma alla mia storia.

E oggi, come vivi la tua vocazione sacerdotale?

Oggi è la Fondazione Caritas che totalizza quasi il mio tempo e i miei pensieri: l’attenzione agli ultimi che ha perso un po’ della artigianalità di un tempo: le nuove emergenze, la complessità della vita sociale, le normative, hanno fatto superare quelle forme caritative fatte di sentimenti e buona volontà che non bastano più, oggi la carità va pensata in modo imprenditoriale, con professionisti capaci di prevedere i disagi incombenti e trovare risorse per sostenere chi nella vita trova difficoltà. Oggi la Fondazione è forte di 36 dipendenti, venti strutture da gestire e oltre un centinaio di volontari da organizzare. Ma non è finita qui perché una società in corsa come la nostra lascia indietro tanti e con bisogni nuovi. A breve apriremo l’Emporio una sorta di supermercato per dare dignità a chi adesso riceve un pacco di viveri anonimo e standard; ma è il disagio del mondo giovanile perché non finisca nel degrado della strada che spinge per nuove iniziative.

Qualche rimpianto di cose non fatte o non riuscite in questi anni?

Dal tempo del seminario ho vissuto l’entusiasmo e il cambiamento nella Chiesa voluto dal Concilio; è stato un periodo entusiasmante ricco di idee e personaggi che hanno dato molto al mondo ecclesiale. È stato il periodo della riforma liturgica, dei personaggi di grande levatura che hanno segnato la storia di quei giorni. Oggi mi sembra di vivere una situazione di regresso, vedo meno entusiasmo, le chiese meno frequentate. C’è molto egocentrismo, una socialità individuale, la tecnologia che facilita e ostacola la comunicazione e rende difficile l’interazione tra persone. Nell’aria percepisco tanta voglia di futuro, ma nella prospettiva di ricostruire un passato ormai superato dalla storia e dalla tecnologia. Sembra di vivere in un ossimoro incombente.

Sogni nel cassetto ancora da realizzare?

Più che un cassetto ci vorrebbe un baule: i sogni aumentano mentre le forze e il tempo stanno scemando. Ma i sogni fanno parte della vita e animano il futuro. Vorrei che i sogni non finissero mai, non tanto per me, ma per il bisogno di Profezia sempre più necessaria al mondo d’oggi.

Una frase, un motto che ti ha accompagnato in questi anni?

Nell’immaginetta della Ordinazione scrissi una frase presa da una canzone di Pére Duval: “Signore tu mi hai preso per mano e mi condurrai fino in fondo al cammino”, la trovo sempre attuale e sempre più vera.

Cosa diresti ad un giovane che sta pensando di diventare sacerdote?

Non avere timore: buttati!

Guarda le foto della festa di questi giorni e alcune immagini del passato di don Luciano

https://photos.app.goo.gl/J3dasehPDj4TUELJ7

I 50 anni di sacerdozio di don Luciano Cantini
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