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I cooperatori Paolini riflettono sulla seconda Lettera di San Paolo a Timoteo

La Scrittura ispirata da Dio è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare alla giustizia

Parole chiave: cooperatori paolini (10)
Aperto l'anno sociale con una presenza significativa
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Padre Silvestro Bejan teologo francescano per oltre 20 anni Direttore del Centro Interreligioso di Assisi, professore di Teologia Ecumenica e residente a Roma, ha aperto l’anno sociale dei Cooperatori Paolini, presso la Parrocchia di san Ferdinando, con un approfondimento sulla Seconda Lettera di San Paolo a Timoteo, soffermandosi sul capitolo 3, 14-4,2.

Timoteo(Listra, 17circa-Efeso,97), destinatario di due lettere dove Paolo lo chiama “suo vero figlio nella fede” fu scelto come compagno di viaggio all’inizio del secondo viaggio missionario e dopo diverse vicissitudini tra le quali anche la prigionia, fu consacrato vescovo di Efeso e lì vi rimase fino alla morte per lapidazione, per aver pubblicamente condannato il culto al dio pagano Dioniso.

La seconda lettera a Timoteo, fu scritta da Paolo da Roma poco dopo l’arresto, probabilmente nel luglio del 64 durante la persecuzione di Nerone, e fa parte delle tre lettere Pastorali in quanto indirizzate a capi di Chiese locali, (Prima e seconda lettera a Timoteo e Lettera a Tito).

Lo scopo della seconda lettera a Timoteo è quello di fortificarlo. Dopo l’arresto di Paolo infatti, i falsi dottori giudaizzanti cercavano di accusarlo non solo come un traditore della religione dei suoi padri, ma anche come un malfattore comune. Paolo dunque vuole affidargli le sue ultime volontà e lo mette in guardia dai falsi profeti e da coloro che si mettono a predicare  solo per la bramosia di guadagnare denaro. Timoteo viene esortato a rimanere vigilante e a far tesoro di ciò che ha imparato fin dall’infanzia.

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Deve essere un uomo di Dio “completo e preparato” come Paolo gli ha insegnato e deve esser consapevole che tutti coloro che vogliono rettamente vivere in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio. Paolo lo esorta a rimanere saldo in quello che ha imparato e che crede fermamente. Il verbo utilizzato per imparare nel testo originale è manthanein, che ben si accorda con il rimanere fermo e il “saper ricordare”.

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C’è una solida formazione che Timoteo ha ricevuto dalla sua famiglia e da Paolo stesso, e non sbaglierà mai se non si distoglie da questa formazione. Troverà sostegno nelle Scritture che conosce fin dall’infanzia grazie alla nonna Loide e a sua madre Eunice e accanto alla formazione ricevuta in famiglia, ha studiato approfonditamente le Sacre Scritture. I testi sacri sono autorevoli e sicuri e comunicano la via della salvezza che si percorre grazie alla fede in Gesù Cristo; pertanto le dottrine che vogliono oscurare Gesù Cristo e demolire la fede in lui, non portano alla salvezza. Un tempo i monaci novizi in Oriente dovevano imparare almeno uno dei vangeli a memoria: il cuore diventava il tabernacolo della Parola di Dio.

Paolo nel versetto 16 quando afferma:“La Scrittura ispirata da Dio è anche utile per insegnare,convincere, correggere ed educare alla giustizia”, (questa è una delle frasi della Bibbia più studiata, smontata pezzo per pezzo e rimontata), ci parla dell’efficacia della Scrittura che non è una lettera morta, ma uno strumento valido per giungere alla giustizia.

I quattro verbi che egli usa indicano le diverse fasi di questa crescita/formazione alla giustizia dell’uomo davanti a Dio. Il primo è il più importante, gli altri ne sono un approfondimento: insegnare è volto a convincere alla verità che si insegna, poi nel rapporto di insegnamento c’è la correzione (il far notare gli sbagli) e infine l’educazione (il tirare fuori quello che c’è di buono).Tutto questo affinché l’uomo diventi capace di compiere ogni opera buona. La maturità che si acquista nello studio delle Scritture, diventa prontezza nel compiere il bene, essere a servizio dei fratelli in un’autentica carità. È questo l’uomo completo.

 

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