Diocesi
Che materiale siamo? Vetro, plastica o terracotta?
I preti giovani a Torino con il vescovo Simone

Riflessioni sulla gita del clero giovane: misurare la vita alla luce dei santi
Insieme al nostro Vescovo Simone, abbiamo vissuto giorni intensi di cammino, di scoperta e di fraternità.
Passeggiando tra le sale del magnifico Museo Egizio di Torino, siamo rimasti incantati dalla grandezza delle civiltà antiche, ma anche colpiti da una sensazione sottile: quella che tutto, inevitabilmente, passa.
Il museo, con la sua bellezza solenne, ci ha ricordato che ogni opera umana è segnata dal tempo, dalla morte, dalla fine.
Ma la nostra gita non si è fermata lì.
Torino ci ha offerto un altro volto: quello luminoso dei suoi santi. Don Bosco, il Cottolengo, Giuseppe Allamano… uomini che hanno trasformato la loro vita in un fuoco che non si spegne, testimoniando che la vita, se donata, diventa eterna. Accanto a loro, abbiamo capito che esiste un modo di vivere che non muore.

Una frase semplice al Museo Egizio ci ha interrogati profondamente: “Vetro, plastica o terracotta?” Era pensata per oggetti esposti, ma è diventata per noi una domanda personale. Di che materiale è fatta la nostra vita?
Siamo vetro? Trasparenti ma fragili?
Siamo plastica? Leggeri ma inconsistenti?
Siamo terracotta? Modellati dal fuoco, capaci di custodire la vita anche con le crepe del tempo?
La vocazione è la vita stessa.
Non è una fragilità, ma un mistero da accogliere: un’opera d’arte in cui il tempo, le prove, le gioie e i dolori modellano un vaso unico, irripetibile, destinato a contenere il dono di Dio.
Così, anche questa gita con il nostro Vescovo è stata un percorso spirituale: non solo un viaggio attraverso i luoghi, ma una domanda viva sul senso della vita stessa.
Non si è trattato di ammirare reperti o edifici, ma di riconoscere che ogni vita è chiamata a diventare splendore, come i santi che abbiamo incontrato lungo il cammino.
Questa mattina il nostro Vescovo ci ha parlato di Santa Caterina da Siena, ricordandoci una verità potente e spesso dimenticata: “la contemplazione alimenta l’azione”.
Non sono due realtà opposte, ma sorelle. Più contempli, più agisci. Non perché ti agiti di più, ma perché ciò che fai nasce da ciò che hai visto nel profondo.
È proprio questo lo stile di vita che stiamo riscoprendo: non un attivismo vuoto, ma un agire che sgorga da un cuore abitato.
La gita stessa si è rivelata un’occasione di contemplazione condivisa: guardare, ascoltare, lasciarsi toccare dalla bellezza e dalla memoria. E così, anche l’azione pastorale futura — nelle nostre parrocchie, tra la gente — non sarà frutto di progetti vuoti, ma di occhi pieni di luce, di mani che hanno toccato la comunione, di cuori che si sono lasciati plasmare.
Siamo vasi, non vetrine.
Siamo stati formati per contenere il vino buono della fede, per spezzarci nell’amore, per versare la grazia.
Ma questo comporta una scelta: vogliamo essere veri, anche se fragili? O vogliamo essere plastica trasparente, modellata dal mondo, resistente ma vuota?
Alla fine di questi tre giorni torinesi, con le parole di Maria alla Consolata, ci siamo sentiti dire anche noi: “Fate quello che vi dirà”. E quello che ci dice è semplice e radicale: lasciatevi plasmare. Non dal rumore del mondo, ma dal fuoco dello Spirito.
E allora, che materiale siamo?
Forse un po’ tutto: trasparenti, adattabili, segnati dal fuoco.
Ma ciò che conta davvero è essere disponibili ad accogliere: la Grazia, la Parola, la Comunione.
Perché è lì che il vaso si fa Chiesa.
Ed è lì che il viaggio diventa vocazione.
«Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi.» (2Cor 4,7)
Lasciamoci guardare da quel Volto
Durante la nostra gita abbiamo avuto anche la possibilità di visitare la mostra multimediale sulla Sindone, in una suggestiva proiezione tridimensionale. È stata un’esperienza che ci ha colpiti nel profondo: non solo per il realismo e l’impatto visivo, ma soprattutto per il silenzio carico di significato che ci ha accompagnati.
Papa Francesco ci ricorda: “Lasciamoci guardare da quel Volto”. La Sindone non è un oggetto da osservare per curiosità, ma un segno che ci invita a guardare oltre. È un’immagine che, nel buio, si illumina. Illuminosa, direbbe qualcuno, perché ci sconvolge e ci interroga. È un volto che parla il linguaggio del tempo, che riflette le cose di Dio.
Come ha scritto san Giovanni Paolo II: “La Sindone è provocazione all’intelligenza, specchio del Vangelo. Non solo ci spinge a uscire dal nostro egoismo, ma ci porta a scoprire il mistero del dolore che, santificato dal sacrificio di Cristo, genera salvezza per l’umanità intera”.
Così, anche in questo momento, abbiamo vissuto qualcosa di profondamente umano e spirituale: lasciarci guardare da quel volto immerso nel buio, ma luminoso. Un volto che custodisce il mistero più oscuro della fede, che è allo stesso tempo il segno più luminoso. Un volto che parla di una speranza senza confini.

















