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I cristiani vivano da risorti

Una storia per descrivere il libero arbitrio

Parole chiave: omelia pasqua (1), veglia di pasqua (2)
L'omelia della notte di Pasqua

Nella notte di Pasqua, in diretta TV su Granducato, il vescovo Simone è partito da una favola raccontata nel libro Fratelli Karamzov per spiegare il libero arbitrio e l'opportunità di ogni cristiano di seguire la via del Vangelo. Nella notte anche i Sacramenti per due donne, madre e figlia, che hanno ricevuto Battesimo, Comunione e Cresima. Qui sotto le foto della celebrazione, scattate da Antonluca Moschetti e le parole di mons. Giusti.

L’amore divino che vuole annientare il male però non può annullare la libertà degli esseri umani, arbitri di scegliere tra bene e male. E del resto, per compiere il percorso spirituale verso Dio, la volontà umana deve liberamente seguire il buon Dio. Scegliere di andarvi contro, pregiudicherebbe la salvezza eterna, condannandosi agli inferi, qualsiasi cosa si celi dietro questo termine. A questo proposito è utile ricordare la favola della cipollina raccontata da Grúšen’ka nei Fratelli Karamazov: «Me la raccontava quand’ero bambina la mia Matrëna […] C’era una volta una donna cattiva che morì. Non lasciò dietro a sé neppure una buona azione. I diavoli la presero e la gettarono in un lago di fuoco. Ma il suo angelo custode stava lì e pensava: “Quale sua buona azione posso ricordare da riferire a Dio?”. Se ne ricordò e disse a Dio: “Ha sradicato una cipollina nell’orto e l’ha data a una mendicante”. E Dio gli rispose: “Prendi quella cipollina e porgigliela nel lago perché vi si aggrappi: se la tirerai fuori dal lago, che vada pure in paradiso; ma se la cipollina si spezzerà, la donna dovrà restare dov’è ora”. L’angelo corse dalla donna e le porse la cipollina: “Tieni, donna, aggrappati, reggiti forte”. E prese a tirarla fuori; vi era quasi riuscito quando gli altri peccatori che si trovavano nel lago, vedendo che la tiravano fuori, cominciarono ad attaccarsi a lei per essere trascinati fuori anche loro. Ma la donna era cattiva, cattiva e prese a dar calci agli altri: “È me che tirano fuori, non voi! La cipollina è mia, non vostra!” Aveva appena finito di dirlo che la cipollina si ruppe e la donna cadde nel lago, dove sta ancora bruciando. L’angelo si mise a piangere e si allontanò».[1]

Il futuro determina il presente

La psicologia ci ha svelato il potere del futuro immaginato, le nostre aspettative sono più influenti di qualunque altra forma di sentire e pensare. Difatti, noi tutti temiamo ciò che può accadere, non ciò che è già accaduto e anche quando abbiamo vissuto qualcosa di davvero traumatico, ciò di cui abbiamo più paura, è che possa riproporsi. In altri termini il passato influenza il presente molto meno del futuro, perché è quest’ultimo che rappresenta anche la proiezione di ciò che ci ha già fatto soffrire e che temiamo si ripresenti.

Il futuro che ci attende

Il destino ultimo, segnato dal Cristo risorto e dalla resurrezione di tutti gli esseri umani, consente di vivere con bene il presente. La fede nella resurrezione è la chiave per decifrare religiosamente il presente. La stessa teologia cristiana ha una sola fonte: la resurrezione, posta dinanzi a noi nel futuro come seconda e definitiva venuta di Cristo.

Un futuro che viene alla storia e non viene dalla storia

Non semplicemente la fine del cammino, ma una compagnia della vita capace di “colorarla” con i colori della Risurrezione e della voce dello Spirito che ci avrebbe “ricordato le cose nuove”.

C’è infatti il pericolo di avere lo sguardo fisso al passato e di divenirne prigionieri soprattutto degli errori compiuti, dei tentativi falliti, accumulando zavorre pessimistiche, favorendo l’incunearsi delle diffidenze. Tutti patiamo la negatività dell’indietrismo, prigionieri delle nostre paure, attaccati alle nostre sicurezze, col rischio di trasformare la fede in ideologia e di mummificare la verità che in Cristo è sempre vita e via (Gv 14, 6) sentiero di pace, pane di comunione, fonte di unità. Anche Papa Francesco afferma come la liberazione dal passato di peccato avviene in forza dell’eschaton, cioè di un futuro in cui «Dio sarà tutto in tutti» (1 Corinzi, 15, 28).  Dobbiamo credere che quel futuro sta già operando, “causa di tutto l’essere”.

La resurrezione quindi bussa alla nostra vita quotidiana, sollecita la nostra collaborazione, scioglie le catene, libera il passo della vita buona. Ed è nel cuore del canone eucaristico che la Chiesa “ricorda il futuro”, proclamando la dossologia a “Colui che viene”. Quel futuro stà già operando liberandoci dal vivere prigionieri degli errori. Occorre quindi credere che quel futuro stia già operando, causa di tutto l’essere; un futuro che come dicevamo, viene alla storia e non viene dalla storia, colorandola con i colori della resurrezione. I cristiani non dovevano restare prigionieri del passato.

Cristo è risorto anche noi risorgeremo, non è una dottrina ma un orientamento di vita

È l’essenza del cristianesimo, agli antipodi della sua riduzione a principi morali. Essere cristiani è aspirare a essere santi ossia a vivere nella luce della resurrezione quale si manifesterà nella seconda venuta di Cristo. La Resurrezione, che sperimentiamo già ora nel culto, e soprattutto nell’Eucaristia, indica, a partire dal futuro, come dovremmo vivere oggi. Ogni liturgia dovrebbe svolgersi nel segno della gioia, in chiese piene di luce che riportino lo splendore della resurrezione. Se la liturgia rammemora il sacrificio di Cristo sulla croce, deve farlo a partire dalla resurrezione.

Si tratta di rovesciare la direzione del tempo, facendolo scorrere dal futuro verso il passato. Così la speranza investirà la storia e gli esseri umani, sottraendoli al pessimismo indotto dalla logica. Questa è stata l’operazione fatta dalla patristica nei confronti del pensiero forte dell’epoca antica, ossia la filosofia ellenistica, infondendo speranza in una cultura che era raffinata ma foriera di sconforto.

E’ necessario avere una vita di fede centrata sulla gioia del Risorto. Voglio svegliare l’aurora (Salmo 108). Il versetto del Salmo chiama tutti gli strumenti e le voci dell’umanità a gridare il nostro bisogno del Futuro di Dio.  

Svegliamo l’Aurora in noi, svegliamo la speranza

Infatti, «sostanza delle cose che si sperano» (Eb 11, 1), il gesto costitutivo del cristianesimo è dare un segno, tangibile e quotidiano, umile e disarmato, di «Colui che è, che era, che viene» (Ap 1, 8). È Pasqua, è il giorno della speranza, è il giorno della vittoria di Cristo sulla morte: ogni male è sconfitto, ogni sofferenza vinta, ogni dolore trasformato in sorriso. Il futuro ha fatto irruzione nella storia e cambia il nostro presente: posso sperare.

[1] Ioannis Zizioulas, metropolita di Pergamo, “Remembering the Future”.

 

guarda le foto della Veglia e Messa della notte di Pasqua, scattate da Antonluca Moschetti

https://photos.app.goo.gl/wrnX84AzvgpeLUnE7

L'omelia della notte di Pasqua
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